Fondata dagli Etruschi nel IX sec. a.C., Ferento fu conquistata e distrutta dai Romani e poi ricostruita. In età imperiale ebbe un periodo di splendore, come terra natale dell’imperatore Otone e di Flavia Domitilla, la madre di Tito. Nel 1172 i Viterbesi la distrussero. Oggi è una zona archeologica.
Tutt’intorno sono state trovate tombe etrusche e romane con sarcofagi, una di queste era della famiglia dei Salvii antenati dell’imperatore Otone. Risalgono all’età dei Flavii le Terme che, insieme con quello che è rimasto delle strade e della struttura della città, testimoniano la ricchezza e l’importanza dell’antica Ferento. Particolarmente interessante è il Teatro, costruito in età augustea in peperino e laterizio. Resti di decorazioni e statue sono conservati nel Museo Archeologico di Firenze. Durante la stagione estiva nel Teatro vengono rappresentati testi classici.
Proseguendo verso nord si giunge a Celleno. Lo sperone tufaceo su cui è scenograficamente arroccato a 350 metri di altezza è soggetto ad una lenta e progressiva erosione che sta mettendo in serio pericolo la sua stessa stabilità. Questo è solo l’epilogo di una storia che è stata lunga e travagliata. Di origine etrusca, fu sottomessa dai romani nel III sec. a.C., subì le scorrerie ed i saccheggi dei barbari e le lotte tra Guelfi e Ghibellini nella lunga contesa che vedeva opposte Orvieto e Viterbo. Conobbe un periodo di relativa pace solò quando passò sotto l’ala protettrice della Santa Sede grazie agli Orsini, che ne fecero un feudo papale. Questa parentesi felice durò ben poco perché nel 1696 subì un disastroso terremoto che danneggiò seriamente le strutture sia pubbliche che civili. Con molta probabilità la valle che si trova alle porte del borgo antico, e che ancora oggi possiamo notare, si formò proprio durante questo terribile terremoto che lasciò isolato il centro di Celleno dal territorio circostante. Un secondo disastroso terremoto nel 1855, preceduto da una tragica epidemia di febbre petecchiale, diede il colpo di grazia alla popolazione costretta ad abbandonare il paese per spostarsi a circa un chilometro e costruire, in località Le Poggette, la nuova Celleno.
Una volta raggiunta Celleno Nuovo attraverso la provinciale Teverina, si prosegue sulla strada principale del paese per 1,5 km, fino ad arrivare a piazza San Rocco, con l’omonimo convento, dove è possibile parcheggiare.
Da qui, una ripida e panoramicissima salita permette di raggiungere il nucleo principale dell’antico borgo, nel quale spicca il Castello Orsini, munito di un imponente fortilizio e di una grande torre di guardia. Restaurato recentemente, il castello venne utilizzato per un certo periodo dal comune di Celleno come ufficio per l’amministrazione, ambulatorio e persino come scuola in attesa della realizzazione degli edifici nel centro storico. Di fianco al castello si trova la chiesa di San Carlo, di cui restano solo le mura mentre, poco distante sorge la chiesa romanica di San Donato, risalente all’anno mille e abbellita da un bel portale d’ingresso in pietra basaltica. Spiccano le case realizzate in tufo rosso, completamente restaurate, mentre altre sono ridotte allo stato di rudere.
Gli splendidi panorami sul verde paesaggio della Tuscia, costellato da campi, casolari e paeselli isolati, accentuano il fascino di questo borgo solitario, in cui l’unico rumore a scuoterne la quiete è quello del vento che risuona nei viottoli.
Continuando il percorso sempre in direzione nord, si arriva nel comprensorio del comune di Bagnoregio, di cui fanno parte Civita, Castel Cellesi, Mercatello, Vetriolo e Ponzano, quest’ultima alle porte della cittadina principale. Il paesaggio è caratterizzato dalla roccia tufacea, che da sempre gioca un importante ruolo nell’egemonia del luogo. La zona, infatti, è nota per la produzione artigianale dei laterizi, ottenuti sfruttando l’argilla locale. Anche le industrie, sorte negli ultimi decenni e oggi in espansione, sono basate soprattutto sull’estrazione e la lavorazione del basalto.
Tra i due valloni di Bagnoregio e di Lubriano, su un terreno di tufo, si trova Bagnoregio. E’ l’antica Balneum Regis, se ne ha notizia come di una località famosa al tempo dei Longobardi, i quali la occuparono nel 605. Immediatamente alla sua destra la Chiesa di San Bonaventura, ottocentesca, ha facciata neoclassica. Conserva il dipinto di Giuseppe Gades in cui “San Francesco prega la Vergine per il piccolo San Bonaventura”, del 1796. La Cattedrale, dedicata a San Nicola, è del 1581. La Chiesa di Sant’Agostino, nell’omonima piazza, è dell’XI secolo. In fondo alla città il belvedere, dove ha sede il Centro di studi bonaventuriani. Qui fu educato San Bonaventura.
E’ chiamata la “città che muore” a causa della continua erosione a cui è soggetta la roccia di tufo sulla quale è costruita. Anticamente Civita e Bagnoregio erano attaccate. Pian piano si sono separate e tra loro c’è un baratro di circa 1 km. L’erosione del terreno sembra irreversibile , ma da diversi anni alcuni studiosi stanno cercando una soluzione per la salvezza della città. Intanto la si è resa centro di manifestazioni culturali, di mostre e di varie iniziative. Civita è il nucleo più antico e conserva molte tracce medievali e rinascimentali. La passeggiata parte dalla Porta Santa Maria o Porta del Cassero, che, in una loggia a tre arcate, contiene un’antica porta etrusca scavata nel tufo. Lungo le stradine ci si imbatte in cippi funerari romani, colonne di marmo appartenute a templi, portali di basalto, casette del ‘500 spesso in rovina. Piuttosto in buono stato la Chiesa di San Donato, di epoca medievale e successivamente rimaneggiata. Il campanile, infatti, risale al 1100 circa, mentre la facciata è del XVI secolo. All’interno un tabernacolo del 1599 e affreschi del Cinquecento. Non distante le rovine della piccola casa dove nacque San Bonaventura, nel 1221.