Nel comune di Bagni di Lucca, nella selvaggia Val di Lima, si trova il borgo di Lucchio (708 m. s.l.d.m.), uno dei paesi più particolari e scenografici di quella Toscana minore e sconosciuta, ma non per questo meno interessante.
L’abitato, incastonato su un pendio ripidissimo, è nascosto alla vista di chi proviene da Lucca, mentre appare improvviso dopo una serie di curve, da chi proviene da Popiglio.
Giunti a Lucchio si ha la sensazione di essere davanti ad un dipinto. Il borgo sembra quasi irreale: su una parete rocciosa a strapiombo sul fondovalle del torrente Lima, ai piedi della fortificazione, si sussegue un agglomerato di case bianche. Case appollaiate una sopra l’altra, quasi in verticale, che creano l’illusione che i tetti e le fondamenta siano incastrati gli uni sugli altri. Eppure questa estrosa immagine è frutto dell’ingegnosità popolare che, pur senza cognizioni urbanistiche o architettoniche, ha creato un insieme omogeneo e originale di semplici costruzioni spontanee. I volumi e gli spazi sono sorti in funzione delle singole e collettive esigenze, sfruttando e adattando ad aree vitali ogni metro di terreno.
Un fienile, una mansarda, un abbaino, una loggia, un arco, una terrazza, tutto è nato con una funzione precisa per gli abitanti. Si è costruito forse fuori da canoni estetici e senza cognizioni di piacevolezza, ma il risultato è straordinario: nessun architetto o esteta al mondo riuscirà mai a ricreare ciò che è nato così spontaneamente.
Un paesino delizioso, senza opere d’arte, senza licenze a stili o mode, senza decori, senza fatture eleganti, senza concessioni, ma un solo unico grande capolavoro: l’originalità. Un popolo montanaro, semplice e povero, che nel corso dei secoli, casa su casa, viuzza su viuzza, muro su muro, ha costruito artigianalmente quanto gli serviva, per soddisfare il proprio stile di vita.
Un paese che sembra una trasformazione della roccia, che si arrampica verso l’alto e sempre più su, fino alla cima, dove su rocce bianche si stagliano verso il cielo e le pareti in pietra di un’antica fortezza, un rudere abbandonato.
Ma Lucchio stesso è un paese abbandonato, o meglio spopolato, perché tutte le case hanno ancora un proprietario. Poche famiglie lo abitano, ormai è un paese fantasma. Soprattutto in inverno la desolazione si avverte: non un negozio, non una scuola, appena qualche bambino. Da alcune generazioni i suoi abitanti se ne sono andati; stenti e miseria li hanno costretti ad emigrare all’estero, soprattutto in Francia.
Lucchio è anche la base di partenza per suggestive escursioni ai dirupati Monte Memoriante e Penna di Lucchio.
L’origine della Fortezza di Lucchio non è certa, forse risale al tempo della contessa Matilde di Canossa. La rocca, i cui ruderi risalgono all’XI-XII secolo, fu un tempo potentissima, ma oggi è ridotta a pochi resti. Sorse su un luogo imprendibile e servì a dominare il territorio circostante e a controllare la strada di fondovalle che corre lungo il torrente Lima. Data la sua posizione strategica, si sviluppò e crebbe di importanza in piena età feudale e nel XIV secolo la città di Lucca ne fece un baluardo di confine col territorio pistoiese e i possedimenti fiorentini. Ma con l’assoggettamento del territorio alla giurisdizione fiorentina, il castello perse di importanza e venne abbandonato. Da allora la rovina è stata inesorabile e le sue pietre trafugate per costruire le povere abitazioni di Lucchio, che continuò ad accrescersi ai suoi piedi.
Anche nei confinanti paesi di Vico e Limano si respira la stessa atmosfera di isolamento.
Vico Pancellorum è tra i più interessanti paesi della vallata e forse anche tra i più antichi, essendo menzionato già nell’873. Visitarlo significa scoprire un borgo antico, arroccato sulla montagna, che ospita interessanti architetture come la bellissima Pieve di San Paolo, che risale all’XI-XII secolo. La pieve, dalle linee armoniche e semplici, è decorata sull’architrave del portale da un bassorilievo finemente scolpito con motivi simbolici e sovrastato da un archivolto di pietre bicrome. Il campanile con bifora e merlature è più recente. L’interno, a tre navate spartite da archi su pilastri, presenta bei capitelli con decori geometrici. Fra le opere conservate, si ammira una statua lignea di San Paolo e un crocifisso, entrambi del Quattrocento, un’acquasantiera e un fonte battesimale rinascimentali in pietra serena, un organo sette-ottocentesco e resti di affreschi quattrocenteschi.
Fino agli anni Settanta, il piazzale antistante la chiesa era il parcheggio del paese, perché vi si saliva solo a piedi. Di fronte alla porta che immette nella cittadella fortificata si trovano il Palazzo dei Vicari e le antiche Prigioni, ma in tutto il borgo, nelle piazzette o lungo le ripide e tortuose stradine, si possono ammirare case e palazzetti antichi. Vi ha sede anche un piccolo Museo di arredi sacri.
Anche a Limano si avverte la nostalgia di un paese che muore, qual fascino un po’ amaro di un borgo ormai disabitato. Ma nei suoi vicoli stretti ancora si legge la sua storia antica. La sua origine è millenaria: forse risalente alla contessa Matilde, come sembrerebbero dimostrare le rovine di una chiesa dedicata a San Martino, ormai avvolte dalla vegetazione.
Il paese si inerpica solitario su di un ripido versante di un colle panoramico, a 538 metri d’altezza. A causa dell’isolamento e dell’economia povera, la maggior parte dei suoi abitanti lo ha abbandonato ed oggi conta pochissimi residenti: molte case sono disabitate, altre vengono utilizzate prevalentemente nei mesi estivi, quando vi fanno ritorno per le vacanze le famiglie degli emigranti.
Limano è uno dei quei luoghi che inaspettatamente in atmosfere rarefatte, quasi fuori dal tempo. Il silenzio che si avverte nei vicoletti ripidi e lastricati è toccante e le suggestive prospettive sul grande scenario appenninico, riescono a trasmettere emozioni indimenticabili. Percorrendo le sue strette viuzze che con ampie volte passano sotto le case, si giunge alla chiesa parrocchiale di San Martino: un edificio rinascimentale a tre navate che conserva i pregevoli arredi, una statua lignea e una Madonna della scuola dei Della Robbia.
Nella vicina Casoli, all’interno della cerchia muraria dell’antica rocca, si trovano, seminascosti, i resti misteriosi di un complesso litico di origine celtica: un antico tempio a cielo aperto con funzioni di osservatorio astronomico. Fra le capre che vi pascolano liberamente, si trovano due blocchi di pietra squadrati che presentano sette fori sui bordi, i quali servivano ad ospitare delle asticelle di legno o metallo, che costituivano una meridiana e fornivano indicazioni calendariali. Vi sono anche strane incisioni serpentiformi, che forse rappresentano la dea serpente della antiche culture indoeuropee. Tutto purtroppo versa nell’incuria e nell’indifferenza generale.