Quest’itinerario attraversa alcuni dei borghi più belli dell’entroterra siciliano, vere perle del barocco ancora sconosciute al turismo di massa.
Partiamo da Vittoria, in provincia di Ragusa. La città fu fondata dalla contessa Vittoria Colonna agli inizi del XVII secolo ed ebbe uno sviluppo costante fino al terribile terremoto del 1693, che distrusse questa e altre città nei dintorni. Vittoria ha pianta a scacchiera e il suo centro, Piazza del Popolo, ospita il Teatro comunale, del 1877, e la chiesa di S.Maria delle Grazie, costruita nel 1612, poi distrutta dal terremoto e ricostruita nel 1754.
Proseguendo verso Comiso alle serre si sostituiscono i vigneti e i depositi di marmo, la cui lavorazione è una delle più importanti attività in zona. La città ha origini antichissime e numerose testimonianze dell’arte nel corso dei secoli. Il mosaico pavimentale vicino la Fonte Diana, in piazza del municipio, risale al II sec. a.C. La chiesa di S. Biagio, ricostruita nel Settecento, ha origini bizantine, come dimostrano i contrafforti che ancora oggi mantengono la struttura originaria.
Anche il Castello dei conti Naselli d’Aragona, sebbene più volte modificato, ha origini bizantine. Al suo interno nel 1841 fu costruito il teatro comunale. La chiesa di Santa Maria delle Stelle, la chiesa Madre, fu edificata nel corso del Quattrocento su un tempio gotico preesistente. Il Palazzo Comunale risale invece al 1887. Il cuore della via cultura di Comiso è la biblioteca intitolata alla memoria di Gesualdo Bufalino, il celebre scrittore comisano.
Una piccola deviazione permette di visitare Chiaramonte Gulfi. La strada si apre su uno dei più bei panorami della Sicilia, che offre allo sguardo l’Etna e la costa iblea fino a oltre Gela. Fondata nel XIII secolo da Manfredi I di Chiaramonte che vi costruì le mura difensive e il castello, la città venne distrutta dal terremoto del 1693. Ricostruita in stile barocco, mantiene, però, la sua struttura medievale. Tra i monumenti più importanti la Chiesa del Salvatore e la Chiesa Madre Santa Maria La Nova e l’Arco dell’Annunziata, l’unica porta delle mura rimasta in piedi. Ma soprattutto, a pochi km dalla città, il Santuario di Gulfi, costruito nel XVIII secolo su resti paleocristiani.
Non molto distante da Chiaramonte, si trova Monterosso Almo. Il paese conobbe il suo massimo sviluppo sotto la dominazione dei normanni, anche se, a causa del terremoto del 1693, di quel periodo non resta traccia. Solo la chiesa Madre, ricostruita dopo quella data, conserva due splendide acquasantiere del XII secolo.
Dopo un percorso tra tornanti, salite e discese, si arriva a Vizzini, il paese natale di Giovanni Verga. Distrutta anch’essa dal terremoto del 1693 e ricostruita, la città mantiene poche tracce delle sue antichissime origini, sebbene le stradine strette ci riportino a tempi remoti. Il suo cuore è la piazza Umberto I, su cui si affacciano il Palazzo Municipale (XIX sec.) e un palazzo signorile del XVIII secolo, appartenuto alla famiglia Verga. La chiesa Madre di San Gregorio ha un portale gotico-catalano che già serviva l’edificio preesistente, probabilmente l’antico municipio.
Quando ci si inoltra nella provincia di Siracusa, alla volta di Buccheri, sulle pendici dei monti Iblei, capita spesso di camminare tra vasti agrumeti, la coltivazione più diffusa da queste parti. Buccheri è il comune più alto della provincia, e alla sua sommità, sopra un’imponente scalinata, troneggia la Chiesa di Sant’Antonio Abate, costruita dopo il terremoto del 1693. Percorrendo la strada statale lungo il corso del fiume Anapo si giunge a Palazzo Acreide, fondata dai siracusani nel 664 a.C., con il nome di Akrai, come fortezza per il controllo dei territori lungo il fiume Anapo. Importanti resti di questo periodo sono gli “scavi di Akrai“, una zona archeologica situata su un’altura a circa 2 km dal centro. Tra i monumenti più interessanti il piccolo teatro greco, l’agorà, due latomie, il tempio di Afrodite e i Santoni, dodici sculture rupestri dedicate alla dea Cibele. Nel centro storico la città conserva importanti testimonianze dell’arte barocca: la Chiesa dell’Annunziata, la Chiesa di San Sebastiano, la Chiesa di san Paolo.
Lasciata la statale ci si inoltra nella valle dell’Anapo, nella zona del sito di Pantalica. Un territorio incontaminato, privo di alberi, segnato da gole rocciose e percorso da pochi sentieri. L’antica città, costruita in forma di alveare tra il XIII e l’VIII sec. a.C. con il nome di Hybla, venne abbandonata fino all’alto Medioevo, quando si rivelò un utile rifugio contro le incursioni arabe. Priva di abitazioni vere e proprie, Pantalica si sviluppa in un canyon incassato tra due alti costoni rocciosi che formano una fortezza impenetrabile. Nella necropoli si contano più di 5.000 tombe di epoche diverse.
La città si raggiunge da Ferla, da cui dista circa 9 km. Si arriva presso la necropoli nord e si parcheggia vicino all’Anaktron, il palazzo del principe dell’antica Hybla. Un’alternativa è offerta dall’accesso da Sortino (a pochi km da Ferla), un percorso affascinante ma faticoso, che prevede un lungo tratto a piedi. L’area intorno al sito è stata da pochi anni costituita in riserva naturale Pantalica, Valle dell’Anaro e Cava Grande.