Piccolissimo e sperduto borgo dell’entroterra molisano, appartenente alla provincia di Isernia, Vastogirardi può vantare un vasto patrimonio archeologico-architettonico dovuto soprattutto alla sua lunga storia, che ha ufficialmente inizio nel Basso Medioevo, periodo di cui tutt’oggi ne conserva le vestigia.
Posto a ben 1200 metri di altezza in prossimità del fiume Trigno, ai confini con l’Abruzzo, offre innumerevoli percorsi turistici: naturalistici, storici ma anche enogastronomici.
E’ importante sapere che il borgo comprende due frazioni, Villa San Michele e Cerreto, la prima ricostruita nel 1933 in seguito a una violenta frana, mentre la seconda è stata in passato la stazione ferroviaria del paese, di cui ancora si conservano le strutture.
Anche se le prime tracce insediative si fanno risalire al IV sec. a.C., l’origine del nome del paese si deve ad un condottiero normanno (X-XI secolo), tal Giusto Girardi, che partecipò, secondo la leggenda popolare, alla prima crociata.
Da Castrum Girardi e Castel Girardo nel XIII secolo, a Rocca Girardo nel XIV secolo, da Guasti Belardi nel XV secolo a Guardia Giraldo e Guardia Girardo nel XVI secolo, il borgo mutò più volte nome, restando fedele al suo significato originario, quello di difesa e custodia.
Il nucleo originario, che si sviluppò con la fondazione del castello nel Duecento da parte degli Angioini, doveva presentarsi come un’autentica cittadella nella quale avevano sede le funzioni di governo, sia civile (il palazzo del feudatario), che religioso (la parrocchia), rappresentando così il centro dell’agglomerato urbano. Il castello non si riduce però solo all’edificio di culto e alla residenza baronale, ma comprende anche diverse abitazioni e la piazza centrale.
Nel corso dei secoli numerose famiglie si avvincendarono nel possesso del feudo: i Maleto, i D’Angiò, i Cantelmo, gli Acquaviva, fino ad arrivare ai Petra alla cui discendenza si deve la ristrutturazione del Castello e del palazzo baronale.
A partire dagli inizi del ‘900 Vastogirardi ha suiìto una forte contrazione demografica che l’ha portato dai 2800 agli 800 abitanti attuali. Antico paese formato da casali sparsi abitati da pastori, abituati a muoversi lungo i tratturi e a stare per mesi lontani da casa, dopo la crisi della transumanza e a seguito del fiscalismo sabaudo, costante è stato il fenomeno migratorio, prima verso l’America Latina, poi verso gli USA, specie dopo il 1918.
Il fulcro del borgo è (inevitabilmente) il suo centro storico, al quale si accede tramite un arco a tutto sesto che affaccia sulla piazza principale dalla forma ellittica.
Simile per tipologia ai castelli-recinto dell’area abruzzese-molisana, quello di Vastogirardi se ne discosta per la destinazione d’uso: non si tratta infatti di un castello realizzato per meri scopi militari, ma di un vero e proprio nucleo abitativo. Ciò si riflette innanzitutto nell’urbanistica: i simboli del potere temporale (la chiesa di San Nicola) e del potere politico (la dimora feudale) sorgono simmetrici nei punti più alti del castello, ad affiancarsi nella gestione del potere. Le mura che contengono il borgo medievale sono caratterizzate da un’altezza costante, e la loro continuità è spezzata solo dalla presenza di due torrette: una a pianta circolare, posta sul lato settentrionale, e un’altra a pianta poligonale, presso la porta principale di accesso al borgo. Mancano torri sul lato meridionale, probabilmente per minori funzioni difensive. La porta principale era stata inizialmente fortificata con un torrione, che poi divenne un donjon e cioè la residenza del feudatario, resa esplicita attraverso la realizzazione di una facciata di rappresentanza.
Il castello non si riduce però solo all’edificio di culto e alla residenza baronale, ma comprende anche diverse abitazioni. Sono le cosiddette “case palazziate” dimore antiche di notevole pregio storico ed architettonico, appartenute a famiglie benestanti, che facevano parte del cosiddetto “ceto nobiliare” del paese. La più appariscente è senz’altro casa Scocchera-Selvaggi, che sorge nella centralissima Piazza Umberto I, caratterizzata da un portale monumentale sormontato da una cornice in pietra lavorata ed una serie di finestre o balconi con stipiti lavorati in pietra locale.
Racchiusa all’interno del borgo fortificato c’è la quattrocentesca chiesa di San Nicola (patrono del paese) che affaccia sulla corte interna e alla quale si accede attraverso una doppia rampa di scale, che anticipa il porticato. L’edificio ha subito numerose trasformazioni nel corso dei secoli, a partire dal X – XI sec. quando, con la traslazione a Bari delle reliquie di S. Nicola, si diffuse il culto del santo cui la chiesa è votata. Nel 1702 fu integralmente restaurata, come attestato da un’iscrizione murata nel portale d’ingresso. Al suo fianco vi è un campanile in pietra. Originariamente la chiesa avrebbe dovuto essere parte integrante del palazzo baronale. Ciò è testimoniato sia dalla presenza di una grata che avrebbe consentito alla famiglia del feudatario di assistere ai riti religiosi dalla propria abitazione, sia dal fatto che era luogo privilegiato di sepoltura della famiglia nobiliare dei Petra.
Il patrimonio archeologico-architettonico di Vastogirardi va di molto a ritroso nei secoli. Infatti il borgo può annoverare, in località S. Angelo, i resti di un importante tempio sannitico risalente al II secolo a.C. e di una chiesa di età medievale. Dedicato presumibilmente al dio Ercole o alla dea Diana, il tempio sacro venne frequentata fino al II secolo d.C., per poi essere progressivamente abbandonato, anche se il luogo rimase per secoli importante crocevia dei percorsi seguiti dai pastori durante la transumanza.
In epoca longobarda al tempio italico verrà sostituita una piccola Chiesa cristiana, detta di sant’Angelo Indiano, ad aula unica rettangolare, absidata, della quale oggi rimangono le sole murature perimetrali di fondazione.
Sulle fondazioni di una preesistente cappella seicentesca, fu invece edificata una chiesa intitolata a Maria Santissima delle Grazie, il cui nome è legato ad una leggenda, quella della “migrazione” della Madonna delle Grazie dalla cappella a lei dedicata a Minervino Murge, nelle Puglie, dove la stessa è venerata in immagine con il nome di Madonna del Sabato. È probabile che tale icona sia stata portata in terra pugliese dai pastori transumanti che attraversavano Vastogirardi, tagliata in due dal tratturo Celano-Foggia che collegava l’Abruzzo alla Puglia. Ampliata e restaurata a partire dal 1909 e riaperta ufficialmente al culto nel 1911, si caratterizza per il contrasto tra gli esterni sobri e rigorosi e gli interni dal pregiato gusto architettonico, sebbene la sua conformazione planimetrica ripeta il consueto modulo a tre navate. Sopra l’altare maggiore custodisce una pregevole statua settecentesca della Madonna delle Grazie, alla quale tutt’oggi è dedicata la maggiore festività del paese, nonché una delle più pittoresche e caratteristiche di tutto il Molise: il “volo dell’angelo”.
Da non sottovalutare è l’interesse naturalistico del posto, particolarmente rigoglioso di boschi, riserve e sorgenti, che potrà dare molte soddisfazioni agli amanti della natura. Siamo infatti nel cuore dell’appennino molisano, entro lo spartiacque del torrente Vandra, affluente minore del Volturno, ai confini dell’Abruzzo.
Ben 300 ettari di Vastogirardi fanno parte della Riserva naturale Montedimezzo, fondata nel 1977 ed inserita dall’Unesco nel programma internazionale MAB (acronimo di man and biosphere). In territorio montano, ha quote che vanno da un minimo di 620 m sul livello del mare (alla confluenza tra il Rio dei Ginepri e il Torrente Vandra) a un massimo di 1385 m (sui versanti verso Monte Cavallerizzo, situato nel comune di Capracotta). La riserva è un angolo di paradiso dove domina il silenzio assoluto del bosco mosso solo dai voli del vento e delle numerose specie di volatili. Molte anche le specie arboree presenti con prevalenza di cerro e di faggio; ricca la fauna con splendidi esemplari di gatto selvatico, tasso, volpe; magnifici i ra-paci notturni e diurni; diffusi sono anche la tortora, la ghiandaia, il colombaccio.
L’area, ricchissima dal punto di vista della biodiversità, è fruibile grazie a un’ampia rete sentieristica (in particolare, il sentiero Colle San Biagio, a Montedimezzo, garantisce l’accessibilità ai portatori di handicap), lungo la quale periodicamente si organizzano anche gare di trekking, orienteering, corsa podistica e mountain bike. Per chi ama fare le scampagnate c’è un’ ampia zona pic-nic attrezzata con tavoli e barbecue, oltre ad aree adibite a campeggi su richiesta.
Non manca il museo naturalistico, situato nello storico Casino demaniale che raccoglie come gioielli rari i legni pregiati del bosco, sezioni di alberi, esemplari di uccelli e animali selvatici di piccola taglia, mappe e pannelli esplicativi e attrezzi legati al mondo contadino e pastorale.
Tra i rituali più antichi del Mezzogiorno, il volo dell’angelo è tutt’oggi una tradizione molto sentita a Vastogirardi. Ad importare quest’usanza in paese fu Vincenzo Liberatore, responsabile del restauro novecentesco della della Chiesa di Maria Santissima delle Grazie. Una volta terminati i lavori, in occasione dell’inaugurazione dell’edificio sacro, Vincenzo Liberatore volle che l’evento fosse celebrato in modo caratteristico e memorabile. Pertanto, egli pensò a qualcosa in grado di meravigliare i suoi compaesani. Protagonista del “Volo” è una fanciulla vestita d’angelo che, assicurata ad un solido cavo d’acciaio per mezzo d’una imbracatura di cuoio, attraverso un sistema di carrucole, percorre più volte un tragitto di circa 40 metri ad un’altezza di pochi metri dal suolo. Ancora oggi, i primi due giorni di luglio, una bambina, vestita da cherubino “vola” dal balcone di una casa fino alla statua della Madonna che, in tale occasione, viene esposta davanti al sagrato della Chiesa. Per quattro volte l’angelo vola sulla piazza: la prima volta recita una preghiera, la seconda porta un dono, la terza incenso e la quarta sparge dei petali di fiori sulla Vergine e sui fedeli.
Il 17 gennaio invece, in occasione dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio Abate, le piazze e i vicoli del borgo antico si animano di maestosi ed ardenti falò: i “Fuochi di Sant’Antonio”. L’evento attira ogni anno migliaia di visitatori che possono degustare pietanze e prodotti tipici della cucina vastese.
Non mancano gli eventi per gli amanti della buona cucina. Nelle prime settimane di agosto ha luogo “De Gusto“, una manifestazione itinerante a carattere enogatronomico che si svolge nelle piazze e nelle più suggestive del paese con la degustazione di piatti e prodotti tipici della tradizione locale. Nella frazione di Villa San Michele si tiene la Sagra dei prodotti tipici locali e nella frazione di Cerreto la Manifestazione gastronomica “Caciocavallo e dintorni”.
Appuntamento imperdibile con i sapori del passato è invece la sagra che si tiene l’ultimo sabato del mese nel castello medievale di Vastogirardi: “Cazzariéglie e Fasciuóle”, una sagra diventata ormai tradizionale che offre un vero vero e proprio assaggio dei sapori semplici e poveri del passato.
Vastogirardi vanta una rinomata tradizione in ambito culinario, data la varietà e la prelibatezza dei suoi prodotti tipici. Dall’abilità manuale dei maestri casari, veri e propri “artigiani del latte”, prendono forma prodotti genuini e gustosi di altissima qualità, come le mozzarelle, la stracciata ed il caciocavallo.
Gli allevamenti locali sui verdi ed abbondanti pascoli forniscono saporite carni e gustosi insaccati, mentre il sottobosco è ricco di frutti, funghi e tartufi. I prodotti tipici locali sono vere e proprie eccellenze del gusto, espressioni di una terra incontaminata, dove la natura è rigogliosa e l’aria è salubre.
Il piatto protagonista delle tavole molisane è senz’altro “Cazzariéglie e Fasciuóle” inserito addirittura nel patrimonio gastronomico italiano e censito come piatto tipico della tradizione territoriale dall’Accademia Italiana della Cucina. A questa specialità è dedicata la sagra che si tiene l’ultimo sabato di agosto nel castello di Vastogirardi.
Tra gli altri piatti tipici di Vastogirardi, tramandati di generazione in generazione, spiccano “re muócche”, specialità tipicamente invernale, rappresentata da una polenta molto dura fatta con farina di granturco condita con pancetta e salsiccia soffritta precedentemente in olio di oliva e “le sagne scarciate”, pasta impastata a mano con acqua e farina, la cui particolarità consiste nel fatto che l’impasto assottigliato viene, appunto, “strappato a mano” e condito con sugo.
Altri piatti poveri della tradizione gastronomica locale, ma ricchi di sapore e realizzati con pochi e semplici ingredienti, sono “re pappóne”, cucinato con patate e pezzi di pane, che vengono cotti in acqua salata e mescolati fino ad ottenere un composto piuttosto consistente, “la bléta mbragliechiéta”, piatto realizzato con pane a pezzi cotto in acqua salata al quale si aggiunge verdura cotta, “le fóglie e patane”, pietanza realizzata con patate e verza, la cui preparazione segue lo stesso procedimento dei precedenti piatti, “le pallòtte cace e óva”, tipiche polpette il cui composto viene ottenuto unendo e ben amalgamando uova, mollica sbriciolata di pane raffermo e formaggio, poi fritto in abbondante olio e, in alcuni casi, ripassato nel sugo.
Tra i dolci tipici abbiamo i “pungechiéglie”, tipici del periodo natalizio, “re vescuótte de la zita”, tipico dei matrimoni.
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