La cosiddetta “via del sacro“, in Molise, è una meta imperdibile per gli amanti della storia e dell’archeologia.
Un teatro ed un tempio noti sin dall’epoca borbonica, un altro tempio, molto più grande, concepito in un unico disegno architettonico insieme al teatro, esplorato dagli anni Settanta del secolo scorso, una grande domus pubblica che sta venendo alla luce nell’ultimo quinquennio. Quello di Pietrabbondante, collocato a oltre 1000 metri di altitudine, è il santuario che si impone per la sua monumentalità, ma non solo per questo viene identificato come il luogo sacro nazionale dei Sanniti Pentri: vi sono le iscrizioni in lingua sannitica, incise su elementi architettonici e su fontane, che ricordano anche ai posteri l’impegno economico profuso dalle alte cariche dello stato nella realizzazione di questo luogo sacro. Saccheggiato e distrutto da Annibale, nel II secolo a.C. risorse più splendido e più grande di prima, in quello stesso luogo in cui da almeno tre secoli i Sanniti consacravano le loro vittorie in tempi guerra, tenevano incontri e spettacoli in tempi di pace.
Un altro santuario dei Sanniti Pentri si sviluppa a 1100 metri, in località Sant’Angelo di Vastogirardi, in un luogo pianeggiante una sorta di anfiteatro naturale, presso la sorgente del fiume Trigno e non lontano dalle fortificazioni sannitiche di Monte Cavallerizzo. Sul tempio italico di II secolo a.C., dedicato ad Ercole, sorgerà nel Medioevo una chiesa con il culto dell’Angelo.
Continuando lungo la via del sacro si possono scoprire, tra alture e torrenti, l’insediamento fortificato di Carovilli con le case sannitiche all’interno e le mura poligonali di Santa Maria dei Vignali di Pescolanciano, ma non mancano, lungo il corso del fiume Trigno, testimonianze di epoca romana, come la grande villa rustica situata presso la medievale chiesa di S. Maria di Canneto presso Roccavivara, con i mosaici bicromi e policromi della parte padronale e il torchio e i grandi dolia – recipienti per la conservazione del vino –, della parte rustica.
Il territorio di Pietrabbondante, nel cuore del Sannio pentro, è caratterizzato da emergenze archeologiche di notevole interesse. Le testimonianze più antiche, risalenti al V secolo a.C., sono quelle dei corredi restituiti dalla necropoli in località Troccola, sulle pendici occidentali del monte Saraceno. La sommità di questo monte verrà fortificata con una cinta muraria in opera poligonale, raccordata ad opere di difesa poste a quote più basse, in un momento in cui il territorio viene dotato di strutture difensive per opporsi alla minaccia romana. In questo momento (seconda metà del IV secolo a.C.) inizia la frequentazione del luogo di culto in località Calcatello. Stretto appare, fin dalle fasi più antiche, il legame tra questo santuario e l’esercito, come testimoniano le numerose armi dedicate nell’area sacra.
Il luogo di culto testimonia una sistemazione monumentale nel III secolo a.C. con la costruzione del cosiddetto tempio ionico ed una seconda sistemazione all’inizio del secolo successivo, in seguito alla distruzione di Annibale del 217 a.C., con la costruzione del tempio A. Solo alla fine del II-inizi del I secolo a.C. verrà realizzato il complesso teatro-tempio con uno schema tipico dell’età ellenistica mediato dall’ambiente campano e latino. Gli ultimi scavi hanno indagato l’area a sud-ovest del complesso monumentale teatro-tempio individuando l’importante domus publica.
A poca distanza dall’area del santuario, in un territorio probabilmente ancora di sua competenza, è stato individuato il monumento funerario della famiglia dei Socellii, della seconda metà del I secolo a.C. Questa famiglia fu infatti proprietaria del santuario e delle sue pertinenze, quando, in conseguenza della guerra sociale, l’area sacra venne confiscata e ceduta ai privati.
Al III secolo a.C. appartiene anche il santuario in località Colle Vernone, nella valle del Verrino testimoniato dagli elementi architettonici dell’edificio e da una parte dell’altare con l’iscrizione in osco di dedica ad uno dei Dioscuri. Altre zone del territorio frequentate in questo momento sono l’area dell’attuale abitato di Pietrabbondante e la località di Arco.
Con l’instaurarsi del sistema municipale, gli interessi e le attività di natura amministrativa, sociale, economica e religiosa vengono concentrati nel municipio di Terventum, con il conseguente spopolamento e isolamento delle zone più elevate e meno accessibili. Una volta cessato il culto, gli edifici vennero abbandonati e solo in parte riutilizzati, come mostra un tesoretto monetale di epoca triumvirale, individuato in un vano del porticato sinistro del tempio maggiore. L’ultima frequentazione si ha nel III-IV secolo d.C. con l’uso sepolcrale dell’area dei due porticati, seguita dalla distruzione degli ultimi edifici per un evento violento, probabilmente il terremoto del 346 d.C.
Il tempio A è costruito su una piccola terrazza che si affaccia, con un prospetto architettonico, sul piano di calpestio antistante. L’accesso avviene lateralmente dalla terrazza sulla sua sinistra e forse da una rampa sistemata sulla destra. Il tempio sorge su un podio, è ad unica cella con pronao, probabilmente tetrastilo, a cui si accede attraverso una rampa posta al centro della fronte. L’edificio templare è circondato da un ambulacro, delimitato da un muro di contenimento in opera poligonale, e preceduto da un’area lastricata in cui è sistemato l’altare in asse con il tempio. Successiva è la struttura che si addossa al lato occidentale del santuario che risponde probabilmente ad esigenze di culto.
La terrazza dei porticati è caratterizzata da una serie di ambienti indicati convenzionalmente come “botteghe” che si aprono su un portico di cui resta la parte inferiore delle colonne.
Il teatro viene realizzato costruendo un terrapieno artificiale contenuto da strutture architettoniche. La parte superiore della cavea doveva essere sistemata con sedili mobili e prevede un accesso attraverso una scaletta nella parte posteriore del teatro. La parte inferiore è invece suddivisa in sei settori da brevi scale che conducono alla parte superiore della cavea e caratterizzata da tre ordini di sedili, con spalliere sagomate e braccioli scolpiti in forma di zampe di leoni alate. L’accesso agli ordini inferiori dei sedili avviene dall’orchestra attraverso le due scalette semicircolari che si addossano agli analèmmata (muri di sostegno della cavea) caratterizzati, nella parte inferiore, da una figura di telamone. L’orchestra è a ferro di cavallo; la scena è un edificio rettangolare con una facciata lineare in cui si aprono tre porte e con una serie di ambienti di servizio alle spalle.
Il tempio B è su alto podio, preceduto da un colonnato, con triplice cella. È costruito all’interno di un recinto rettangolare, fiancheggiato da porticati e preceduto dalla terrazza con gli altari. Nel lato occidentale del podio si conserva un’iscrizione in osco che ricorda il finanziatore della costruzione del podio stesso; si tratta di L. Staatis Klar un personaggio sannita, probabilmente un magistrato, che si schiera dalla parte di Silla dopo l’inizio della guerra civile. Della decorazione del tempio rimangono vari elementi del fregio dorico a metope lisce della parete delle celle e del cornicione che lo sormontava; due serie di lastre fittili di rivestimento con teste di satiri e menadi tra elementi vegetali e con il motivo della donna-fiore ed infine le antefisse raffiguranti una divinità femminile tra due cani affrontati.
La domus publica è realizzata, verso la fine del II secolo a.C., sulla terrazza che si estende sul versante occidentale del santuario. L’edificio si sviluppa attorno al nucleo composto da atrio, alae, tablino e la grande aula in cui si deve riconoscere probabilmente la curia sacerdotale, destinata all’attività del collegio sacerdotale e ai conviti rituali in occasione di festività religiose.
La parte posteriore della domus è caratterizzata da un portico a due navate, dalla cucina e dagli alloggi degli schiavi. Il portico era usato per lo svolgimento di attività religiose, sono infatti stati rinvenuti altari, dediche e doni votivi nella navata interna che si caratterizzava anche per la presenza di un ambiente dedicato al culto di Ops Consiva. È probabile che la domus fosse la sede del meddís túvtíks, sommo magistrato dello stato sannitico, quando esercitava sul posto le proprie funzioni pubbliche. Dopo l’abbandono del santuario, la domus sarà trasformata nella residenza della gens Socellia e nei secoli successivi venne ancora ristrutturata per potervi svolgere attività produttive.
Il santuario sannitico, in località S. Angelo, si trova a circa un chilometro da Vastogirardi, nel cuore del Sannio pentro. È posto alle pendici del Monte Capraro e ai margini di un’ampia area pianeggiante bagnata da una sorgente e frequentata già a partire dalla fine del IV secolo a.C.
Il tempio viene costruito tra il 130-120 a.C. e utilizzato ancora in età imperiale. È un edificio prostilo, tetrastilo, con una cella unica molto ampia e dotata di ante. Viene realizzato su un podio, in cui è incassata la scala di accesso, e circondato da un ambulacro, delimitato da un muro di contenimento in opera poligonale.
Tra i numerosi materiali rinvenuti si segnalano una statuetta di bue, una placchetta fittile raffigurante un naso e due occhi e numerosi unguentari in vetro e terracotta che hanno portato ad ipotizzare l’esistenza di riti di guarigione connessi all’acqua della vicina sorgente, chiamata ancora oggi “l’acqua degli angeli”.
Una testimonianza epigrafica interessante è il frammento di una lastrina in bronzo che era inserita in un oggetto offerto in dono nel santuario. L’iscrizione riporta l’appartenenza dei dedicanti alla famiglia degli Staii e la motivazione della dedica nella formula “per grazia ricevuta”. Nella seconda linea dell’iscrizione si conserva l’epiteto della divinità ([—]ínnianúí) che si conserverà fino al Medioevo nel titolo della chiesa che fu costruita sulle rovine del tempio: S. Angelo “Indiano”. Manca il nome della divinità, che si può però ricondurre ad Ercole, il dio delle sorgenti e dell’allevamento transumante. La dedica della chiesa a S. Angelo conferma tale ipotesi: il culto di S. Michele Arcangelo si sovrappone infatti frequentemente a quello di Ercole, probabilmente per l’analogia dei caratteri icononografici.
Circa 50 m più a sud del tempio è stato individuato un altro edificio di cui restano solo le fondazioni. Ha pianta rettangolare (16,5×8,25 m, corrispondenti a 60×30 piedi oschi), con orientamento est-ovest ed è diviso in due parti da un muro centrale. La struttura risale al II secolo a.C. ed appartiene alla stessa fase edilizia del tempio: era probabilmente finalizzata all’accoglienza dei pellegrini.
Sulle pendici di Monte Ferrante è possibile ritrovare tratti di una fortificazione sannitica databile al VI-V secolo a.C. e resti di un tempio di epoca successiva
(III-I secolo a.C.). L’area è censita come “area archeologica” nella Carta dei beni culturali realizzata dal Dipartimento Interateneo di Pianificazione Territoriale e Urbanistica della “Sapienza” Università di Roma per la Regione Molise nel 2009, alla voce “beni di interesse storico-archeologico” (il riferimento normativo è al Piano Paesistico adottato dalla Giunta Regionale del Molise con deliberazione n. 1934 del 18 marzo 1991).
Tratti di cinta fortificata si trovano anche sulla cima di Monte Ingotta.
In località Fonte Cianella, è stato scoperto un insediamento produttivo databile al III-II secolo a.C. e abbandonato a causa di un incendio distruttivo tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C.
La cinta muraria in opera poligonale realizzata dai Sanniti Tra il IV ed il II Sec a.C. sul colle di Santa Maria dei Vignali, in territorio di Pescolanciano, è una delle più estese e meglio conservatesi tra le tante presenti nella nostra regione. Il sito in questione, che si erge dominando (non a caso) il tratturo Castel di Sangro – Lucera, è costituito da due cinte murarie concentriche che racchiudono un’area di circa 6 ettari, sviluppandosi in lunghezza per 760 m.
La cinta muraria più esterna è munita di una notevole porta d’accesso ed è stata edificata con massi squadrati a regola d’arte, si apprende inoltre dal pregevole atlante delle cinte murarie sannitiche, realizzato da Mario Pagano e Michele Raddi, che a protezione della suddetta porta esiste un’opera avanzata costruita però con tecnica più scadente, con impiego di blocchi in pietra appena sbozzati.
La cinta Sannitica più interna presenta invece un fossato, ancora individuabile lungo alcuni tratti di detta fortificazione, realizzato anch’esso probabilmente in epoca sannita, anche se non è assolutamente da scartare l’ipotesi che possa risalire all’alto medioevo, quando lampanti testimonianze archeologiche riconducibili ai Longobardi attestano che il sito di Santa Maria dei Vignali fu nuovamente insediato dall’uomo.
Del periodo Medievale è infatti riconoscibile, non lontano dalla detta porta Sannitica, il perimetro di una chiesa medievale mentre, nel versante sud-ovest, sono state recentemente scoperte da un team di archeologi e studiosi diverse grosse cisterne con relativi canali di raccolta ricavati dal banco roccioso che potrebbero far pensare alla presenza di un insediamento abitativo.
A confermare ciò esistono, sulla cima del colle, i resti di un castello angioino circondato da cisterne e fosse per il grano.
Il sito di Santa Maria dei Vignali fu definitivamente abbandonato nel periodo compreso tra la fine del medioevo ed il principio dell’età moderna in seguito a gravi eventi sismici che ne compromisero la vivibilità, in ogni caso il luogo in questione resta menzionato nelle mappe del territorio altomolisano fino alla fine del XVIII Sec.
Il complesso di S. Maria del Canneto sorge nella valle del fiume Trigno, nel punto di confluenza con il torrente Ponte di Musa, nel comune di Roccavivara. Il nome deriva dalla presenza di flora tipica di ambiente fluviale e compare per la prima volta nella bolla del Papa Mariano II indirizzata ai Benedettini di Montecassino. L’area è frequentata già in età preistorica e protostorica, è interessata dalla costruzione di una villa rustica già probabilmente nel I secolo a.C., a cui si aggiunse nell’altomedioevo un complesso monastico che utilizza come materiale da costruzione elementi provenienti dalla villa e da un monumento funerario posto nelle vicinanze. Il territorio di pertinenza è quello del municipio romano di Terventum (Trivento) in cui esistono numerose ville rustiche, dislocate in due comprensori: quello delle colline situate lungo il tratturo Celano-Foggia e quello vallivolo lungo il fiume Trigno e alla falde delle colline che lo dominano.
Alcune iscrizioni conservate a Canneto testimoniano i nomi di famiglie illustri che possono essersi avvicendate nella proprietà della villa.
La struttura è caratterizzata da un lungo periodo di frequentazione, non si conosce la sua estensione nella prima fase, né si può indicare con precisione l’epoca della sua costruzione. Si conosce però, nel I secolo d.C., la divisione dello spazio in pars rustica, esposta a nord-est e pars urbana a sud-ovest. Gli ambienti di questa prima fase subiscono notevoli danni dallo straripamento del fiume, testimoniato da uno spesso strato di limo e fango che fu, dove necessario, asportato al momento della ristrutturazione.
Nella seconda fase (III secolo d.C.) non vengono effettuate modifiche sostanziali nella destinazione d’uso delle aree, i cambiamenti sono invece rivolti ad abbellire gli ambienti residenziali, mantenendo le dimensioni e le strutture murarie precedenti. È probabile che in questo momento, in seguito ad un periodo di crisi dei centri, i proprietari lascino le residenze urbane e si trasferiscano nei loro fondi, questo spiega le caratteristiche degli interventi nella villa.
Successivamente, intorno all’VIII secolo d.C., la pars urbana fu distrutta da un incendio e usata come area sepolcrale, la pars rustica invece venne modificata e continuò ad essere frequentata anche dopo questo evento (terza fase della struttura).
I panzerotti sono una delle prelibatezze più amate della cucina italiana, simbolo della tradizione gastronomica…
Il famoso cantante, vista la mancanza dei figli sotto Natale, ha deciso di concedersi una…
La strana tradizione in provincia di Frosinone che a Santo Stefano ancora commuove tutti, dal…
Se desideri arricchire la tua esperienza romana andando oltre i percorsi tradizionali, una visita una…
Quando il Natale finisce, in molte case italiane la festa sembra continuare per giorni, soprattutto…
C’erano una volta le vacanze “vecchio stile”, quelle che oggi guardiamo con una certa nostalgia…