Adagiato su una dorsale rocciosa del Monte Taleo, il Sacro Speco è una delle gemme della spiritualità benedettina, nonché uno degli eremi più belli d’italia da un punto di vista artistico e architettonico. Anche grazie alla sua posizione sulla roccia a strapiombo con pareti, volte e scale perfettamente integrate nella pietra cui si appoggiano, attira ogni anno visitatori da tutto il mondo. E’ stata proprio la sua particolare conformazione a fargli guadagnare l’appellativo di “nido di rondini“: è così che apparve a Pio II nel 1461.
Situato in prossimità di Subiaco, il Sacro Speco, insieme al vicino protocenobio di Santa Scolastica, è l’unico dei dodici monasteri fondati da San Benedetto non andato distrutto. Qui infatti si trova la famosa grotta in cui, all’inizio del VI secolo, il giovanissimo San Benedetto da Norcia visse da eremita, seguendo l’esempio dei padri anacoreti.
Attraverso il periodo di solitudine trascorso in questo luogo aspro e selvaggio, San Benedetto poté maturare quel carisma e quella spiritualità che in pochi anni lo portarono a fondare le prime comunità monastiche lungo la valle del fiume Aniene: l’embrione da cui si sarebbe sviluppato l’intero monachesimo occidentale.
Ancora oggi, seppur circondata da straordinari capolavori architettonici e artistici sedimentati nei secoli, la grotta conserva il senso autentico della fuga mundi di San Benedetto, fondamento di ogni scelta di vita monastica.
A partire dalla seconda metà dell’XI sec. ha inizio l’evoluzione della struttura che conosciamo oggi, contraddistinta dal sorprendente equilibrio fra l’elemento umano e quello naturale, fra l’architettura e la roccia.
Oggi il Monastero si compone di due chiese sovrapposte e di molteplici cappelline che seguono l’andamento della parete di roccia a cui la struttura è addossata. La chiesa inferiore custodisce il tesoro spirituale del Monastero: la citata Grotta in cui San Benedetto spese i suoi tre anni di vita eremitica.
E partiamo proprio dalla Grotta, fulcro del complesso, da cui ebbe origine la Regola e l’Ordine benedettino. Difficoltà tecniche di ogni genere vennero affrontate, pur di riuscire ad onorare degnamente il luogo della veneratissima grotta, nella quale il ventenne Benedetto, lasciata Roma intorno al 500 d.C., scelse di vivere per tre anni nella più completa solitudine, finché l’accorrere sempre più frequente di pastori della zona non lo indusse a lasciare la solitaria vita dell’eremita. I tredici piccoli monasteri fondati da allora dal giovane Benedetto nella valle dell’Aniene furono collocati in zone più accessibili; lo Speco rimase privo di ogni stabile presenza religiosa, pur restando meta di devoti pellegrinaggi di fedeli. Solo intorno alla metà dell’XI secolo vennero erette delle semplici coperture a protezione della grotta del Santo e di quella nella quale riceva i fedeli pastori, mentre alla fine di quello stesso secolo il monaco Palombo dava avvio ad una costante presenza monastica in questo luogo così celebrato. La sistemazione originale presta fede a quella originale, fatta eccezione per la presenza di una statua in marmo (opera di Antonio Raggi 1657 discepolo del Bernini) raffigurante il Santo e il simbolico cestino di vimini dove i pastori mettevano il cibo.
Seguendo le tappe della crescita del santuario sulle rocce del Taleo, la nostra visita ha inizio in basso, al livello del roseto, che raggiungeremo dopo aver percorso le due chiese sovrapposte e la Scala Santa. Ci ritroviamo così all’esterno, davanti all’antichissima facciata, strettamente connessa al vivo della roccia. E’ sorretta da due contrafforti terminanti a cappuccio, che incorniciano tre monofore sormontate da un oculo e decorata da un affresco del XIII secolo fortemente ridipinto, rappresentante Cristo benedicente fra due angeli. A destra sporge la piccola abside della cappella della Madonna; l’accavallarsi di sporgenze e rientranze nell’arcone successivo mostra con estrema evidenza la sovrapposizione di diverse fasi costruttive.
Il roseto che fiorisce al di là di un cancello nacque miracolosamente, secondo una gentile leggenda, ad opera di San Francesco d’Assisi, al posto dello spinoso roveto in cui San Benedetto si era gettato tanti secoli prima (più di sette) per vincere le tentazioni della carne. In realtà, il piccolo giardino risale ad un periodo decisamente più tardo rispetto a quello in cui visse il santo di Assisi, e precisamente alla fine del Trecento; fino ad allora il suo posto era occupato dalla vecchia via d’accesso.
Rientrati dal piccolo ingresso attuale, troviamo a sinistra la grotta dei pastori: qui, sulla parete destra, si scorgono le tracce purtroppo sbiadite del più antico dipinto del Sacro Speco, rappresentante la Madonna con il Bambino fra i Santi Lorenzo e Stefano, eseguito intorno al IX secolo.
Di qui si sale la scala santa, costruita in sostituzione del viottolo che originariamente univa la grotta dei pastori con quella del santo. La parete a sinistra, addossata alla superficie della montagna, ne ripete le scabrosità, mentre in alcuni punti affiora la viva roccia, sottolineando il carattere rupestre di questa costruzione.
Vi si affacciano, su piani diversi, due cappelle: la prima dal basso, sulla destra, è la trecentesca cappella della Madonna, interamente ricoperta di affreschi con storie della Vergine, di scuola senese. Più in alto, a sinistra, tramite una scala a chiocciola di marmo si sale fino ad una serie di tre ambienti; l’ultimo è la cappella di San Gregorio, dedicata al grande papa autore, fra l’altro, della celebre biografia di San Benedetto. Fra gli affreschi che la decorano, notissimo è quello rappresentante San Francesco, senza nimbo né stimmate, prima, dunque, della sua canonizzazione, avvenuta nel 1228, a meno di due anni dalla morte. Raffigurato quasi a grandezza naturale, il santo desta una vivida impressione grazie all’intensità espressiva degli occhi azzurri, alla profonda ma serena sensibilità del volto, all’energia trattenuta della figura.
Numerosi interventi nel corso dei secoli hanno cambiato la fisionomia di questo luogo, pur senza alterarne il fascino. Fino agli ultimi anni del XVI secolo, infatti, l’ingresso alla grotta si apriva nella parte superiore della parete sulla destra dell’ingresso attuale, come avveniva fin dai tempi di San Benedetto. L’attuale sistemazione risale al 1595, quando l’abate Graziani volle liberare lo Speco dalle scale che lo occupavano internamente, aprendo il nuovo ingresso all’altezza del pavimento. La statua del santo, del berniniano Antonio Raggi, fu collocata nel 1637; al di sopra ardono dodici lampade disposte ad arco, a ricordare i dodici piccoli monasteri (oltre alla casa madre) fondati da San Benedetto.
La grotta si affaccia sul piano della chiesa inferiore, la cui realizzazione (nel XIII sec.) segnò il passaggio dall’edificio rupestre ad andamento verticale, sviluppato sull’asse della scala santa, ad una classica costruzione ecclesiastica ad andamento orizzontale. Fu quello un momento di rilevante vitalità nella storia del Sacro Speco, che viene generalmente attribuito all’impulso dato anni prima da papa Innocenzo III al monachesimo sublacense. Sta a ricordarcelo l’affresco con la Bolla di Innocenzo III a fianco della scalinata che porta alla chiesa superiore, a sinistra di chi viene dalla scala santa. E’ assegnato, pur con qualche incertezza, al maestro Conxolus, sicuramente autore della Madonna con il Bambino, dipinta sulla parete al fianco opposto della scala. Ne è prova inconfutabile la firma del pittore, tracciata in alto a sinistra, fatto estremamente raro nell’impersonale e collettiva arte medievale.
La parete laterale lungo la rampa è decorata con una serie compatta e continua di affreschi, rappresentanti le storie di San Benedetto. Presentano in successione cronologica episodi della vita di San Benedetto narrati da San Gregorio Magno.
Sovrapposta a quella inferiore, cui è collegata da una scaletta, la chiesa superiore va visitata a partire dall’ingresso. Di qui si appare divisa in due parti nettamente distinte, separate da un grande arco, di diversa altezza. Fra la navata e l’abside di nuda roccia corre sulla destra un transetto, collegato alla navata da alcuni gradini. Un poderoso pulpito marmoreo duecentesco a rosoni, sormontato da un leggio in dorma di aquila, biancheggia sullo sfondo policromo della parete sinistra.
La chiesa è infatti completamente ricoperta da affreschi, eseguiti in fasi diverse. I più antichi, attribuiti a scuola senese del Trecento, ricoprono la prima sezione della navata, la più alta: quelli della parte mediana, verso il transetto, risalgono invece al Quattrocento. Dalla scuola romana della chiesa inferiore, dunque, si passa all’affidamento di importanti committenze artistiche a pittori toscani. Fra i motivi fondamentali, i contraccolpi sulla vita artistica e culturale romana esercitati dai gravissimi eventi che colpirono la città e la Chiesa agli inizi del Trecento, con lo spostamento della sede papale da Roma ad Avignone. Il colpo fu così grave che la gloriosa scuola romana si disperse, per non risollevarsi mai più. Nuovi artisti furono allora ricercati nelle regioni vicine, prima fra tutte la Toscana.
In questi affreschi trecenteschi, scene della vita di Cristo si alternano a nuovi episodi della vita di San Benedetto, attribuiti all’umbro Ottaviano Nelli, sempre tratti dalla biografia gregoriana.
L’accesso al Santuario del Sacro Speco è libero, tenendo però in considerazione che durante le celebrazioni liturgiche è interdetta la visita alla chiesa superiore.