Barano è situato nella parte sud-orientale dell’isola d’Ischia, in posizione collinare, a pochi chilometri dal mare. Il duo territorio comprende una serie di rilievi montuosi (il Cotto, la Guardiola, il monte Barano, il monte di Vezzi e di Fiaiano) e un tratto di costa, in alcuni punti molto scoscesa, come nella “Scarruppata”, tra Punta San Pancrazio e Capo Grosso, e in altri pianeggiante e sabbiosa, come nel caso del Lido dei Maronti, celebre per le fumarole e per l’acqua radioattiva che sgorga dalle vicine sorgenti di Nitrodi e dell’Olmitello.
Il terreno presenta strati di colate laviche risalenti ad epoche molto antiche. Ma proprio le eruzioni, che per milioni di anni si sono susseguite in zona, soprattutto dai crateri vulcanici di Testaccio e del monte Trippodi, hanno contribuito a rendere il suolo particolarmente fertile.
Il toponimo, di origine latina, sembra derivare dal nome del possessore di un podere o di un fondo, Barius o Varius. Ma fin da tempi più antichi varie popolazioni, tra cui i Siracusani e, naturalmente, i Romani, si sono succedute nel dominio di questo territorio, attratte appunto dalla fertilità del suolo oltre che dalla salubrità dell’aria.
In epoca medievale, però, un terribile cataclisma sconvolse la vita degli abitanti della zona: il 18 gennaio del 1301, infatti, sulle pendici del monte Trippodi si aprì un profondo cratere dal quale fuoriuscì un’enorme colata lavica. Il fiume incandescente, dopo aver travolto la cittadina di Geronda, proseguì la sua corsa verso il mare dove formò la cosiddetta Punta Molino. La lingua di lava prese in seguito il nome di Colata dell’Arso e appare oggi ricoperta da una rigogliosa pineta impiantata dal botanico di corte Giovanni Gussone tra il 1853 e il 1855. L’eruzione, che si protrasse per mesi, costrinse le popolazioni a rifugiarsi sul continente e a Capri. Un altro evento drammatico per gli abitanti di Barano fu rappresentato dall’incursione corsara del Barbarossa Khair ad-Din, la più devastante tra le molte che funestarono la vita di Ischia.
Delle tre Università in cui l’isola fu suddivisa nel corso del XVII secolo, quella della Città e dell’Isola, quella di Forio e quella del Terzo, Barano rientrò sotto la giurisdizione di quest’ultima insieme a Serrara, Fontana e Casamicciola con Lacco. I documenti dell’epoca recano testimonianza del grave disagio economico che affliggeva in quel periodo questi centri minori, oberati da gabelle e tributi eccessivi.
Nel 1883 il paese fu letteralmente sconvolto dal violento terremoto, che per esso significò l’arresto di ogni sviluppo economico: la ricostruzione, infatti, privilegiò i centri costieri e le difficoltà di comunicazione con questi resero arduo per Barano ogni tentativo di ripresa.
Il nucleo del paese è costituito dalla piazza centrale, su cui si affacciano due edifici religiosi, la chiesa di San Rocco (che dà il nome alla piazza), di estrema semplicità, e la parrocchiale di San Sebastiano Martire, le cui origini risalgono al 1604. Fu in quell’anno, infatti, che le autorità locali disposero la costruzione, da parte di fra Cosmo da Verona, di un convento per i frati agostiniani. Nel 1653 esso fu però soppresso a seguito della bolla di Innocenzo X che ordinava la chiusura dei conventi con meno di sei religiosi. La parrocchia fu comunque istituita nel 1640, in seguito allo sdoppiamento di quella di San Giorgio. La chiesa ha subito nel tempo numero rimaneggiamenti. La facciata presenta attualmente un’alternanza di zone piene e di zone vuote sormontate da timpani triangolari. La parte centrale è caratterizzata da un marcato slancio verticale sottolineato dall’ordine unico delle paraste, che termina con una cornice a dentelli sovrastata da un secondo timpano triangolare. L’interno è a croce latina, con quattro arcate profonde lungo la navata centrale coperta da una volta a botte decorata a stucco con motivi geometrici e lunette. Il vano dell’abside della navata a sinistra è illuminato da quattro finestre molto strette inserite nel tamburo della piccola cupola che lo sovrasta. Sul lato sinistro della chiesa sorge il campanile, dalla base tronco-piramidale, che completa il mosso gioco della facciata.
Da un punto di vista storico la frazione di maggior rilievo di Barano è senz’altro Testaccio, che dal 1786 fino al 1873 costituì un comune autonomo. Furono le acque di Succellaro e le stufe del Cacciutto a determinare la sua importanza. Il Sudaturo, che oggi è una malandata costruzione nel cuore dell’antico agglomerato, era un tempo assai famoso. Nel Settecento venne a dimorare a Testaccio il generale Giorgio Corafà, viceré di Palermo, che fece costruire a proprie spese, nel 1763, la strada a gradinate che dal Sudaturo porta al Lido dei Maronti, dov’è la sorgente dell’Olmitello. L’autonomia comunale del 1786 giunse quindi a sancire, per questo centro, uno sviluppo urbanistico che trova i suoi punti di riferimento, oltre che nella via Giorgio Corafà, nella chiesa dell’Assunta e nella parrocchiale di San Giorgio. La chiesa dell’Assunta, settecentesca è a pianta centrale quadrangolare. La cupola, priva di tamburo, è decorata con stucchi. La parrocchiale di San Giorgio, invece, databile alla fine del XV secolo, era originariamente a navata unica. Nel 1600 vi fu annesso un oratorio privato, completamente rifatto nel 1773 allorché assunse il titolo di Congregazione di Santa Maria di Costantinopoli. La chiesa presenta una pianta a croce latina con cappelle sulla sinistra; a destra, lo spazio era riservato alla Congrega è suddiviso in senso longitudinale da due pilastri collegati da un robusto arco ed è coperto da volte a vela decorate con stucchi. La chiesa si presenta affiancata da un campanile segnato da due cornici che proseguono senza interruzione dalla facciata. Sempre a Testaccio, lungo un viottolo che porta al Sudaturo, si incontra anche la chiesa di Santa Maria delle Grazie, dove, nella prima metà del Novecento, fu trasferita la Congrega della Parrocchiale di San Giorgio. Eretta nel 1748, a pianta rettangolare con abside curva, essa vanta un interno contraddistinto da un’articolata e agile decorazione. Nei pressi di San Giorgio si erge poi una torre, edificata alla fine del XV secolo. Utilizzata in principio come punto di avvistamento e struttura difensiva, essa divenne in seguito dimora del barone locale. Quadrangolare e priva di basamento, la torre si eleva su due livelli ed appare decorata, nella parte terminale, da mensole in piperno.
A Faiano, infine, che sorge nel cuore della zona da cui ebbe principio la terribile eruzione del 1301 ed è caratterizzato dalla presenza di una folta pineta, si trovano la piccola parrocchiale di Sant’Anna, secentesca, e la chiesa della Madonna delle Grazie, risalente alla metà del Settecento.
La festa di San Giorgio Martire, patrono di Testaccio, viene celebrata il 23 aprile preceduta dalla usuale novena, durante la quale sono frequenti le processioni e le fiaccolate nei rioni del paese. Il sabato prima della festa solenne l’immagine del Santo viene portata ai Maronti per la benedizione della spiaggia e del mare, usanza che risale al tempo dei saraceni quando il Santo veniva chiamato a proteggere la popolazione dalle invasioni dal mare. Secondo una delle tante leggende, durante un attacco saraceno i paesani che si rivolsero al Santo videro trasformarsi in soldati i tanti filari di viti che all’epoca venivano coltivate ai Maronti: gli assalitori, ritenendosi inferiori in numero, fecero ritorno al loro paese abbandonando le idee bellicose che li avevano portati fin lì.
Una festa dalla grande portata folkloristica è quella di San Giovanni Battista, caratterizzata dalla danza della ‘Ndrezzata e dalla “Mascarata“. La ‘Ndrezzata è una danza in cui i danzatori si dispongono a cerchio, e simulano una battaglia fra di loro colpendo le loro mazze (2 ciascuno)l’une contro le altre. È spettacolare vederla dal vivo per il ritmo veloce, infatti i danzatori sanno a memoria i movimenti da fare, e un piccolo sbaglio potrebbe provocare come conseguenza “una bella mazzata in testa” o sulle mani. Si svolge nella contrada Buonopane il lunedì dell’Angelo ed in occasione della festa di San Giovanni Battista, ma anche in molte altre occasioni.
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