Nelle Cinque Terre si trovano due isole che non ci sono. O meglio che ci sono per un solo giorno. Per 364 giorni all’anno infatti, sono terra proibita: vietato pescare, fotografare, persino sbarcare.
L’isola di Tino, e il vicino isolotto del Tinetto, ad appena un quarto di miglio da Palmaria, sono inaccessibili in quanto presidi militari.
Una volta all’anno, però, il giorno di San Venerio, eremita che visse e morì al Tino, è possibile visitare, almeno in parte, l’isola. Se Palmaria è selvaggia, il Tino e il Tinetto sono natura allo stato primordiale. La vegetazione, rigogliosissima, è un tripudio di pini d’Aleppo, lecci, euforbie, piante di rosmarino, cespi di fiordaliso, festoni di finocchio di mare dove si aggirano gabbiani reali, uccelli marini, lucertole, tarantolini e il cosiddetto gechetto, un minuscolo e rarissimo rettile.
Tra gli animali che popolano i cieli ci sono i gabbiani reali e il falco pellegrino, sicuramente uno dei rapaci più belli presenti sul territorio italiano. I gabbiani reali, molto numerosi sull’isola, nidificano a partire dalla metà del mese di Aprile. Solitamente le loro uova sono di colore verde oliva con punti più scuri, particolarità che favorisce la mimetizzazione. I piccoli sono svezzati da entrambi i genitori per circa un mese e mezzo.
Un solo giorno dunque; un giorno per pregare, festeggiare, spedire cartoline e bere vino. Il Tino apre le sue porte il 13 settembre e la domenica successiva grazie a un santo che non si chiama Pietro ma Venerio: nato a Palmaria, si ritirò qui tra il VI e il VII secolo per vivere da eremita. Lui, che salvò i marinai accendendo fuochi durante le tempeste per segnalare la posizione dell’isola – oggi è venerato come il patrono del golfo e il protettore dei fanalisti. Il 13 settembre molti natanti si raccolgono lungo la costa, ai piedi dell’eremo risalente all’XI secolo, per ricevere la benedizione.
Oltre alla chiesa meritano una visita i resti di una rudimentale macina per le olive e il piccolo Museo archeologico, che custodisce reperti romani e altomedievali. Non si può visitare invece il bel faro napoleonico che si erge proprio sulla sommità dell’isola.
Anche la piccola Tinetto conserva interessanti rovine, come i resti di un eremitaggio del V secolo.
Oltre alle cerimonie religiose al Tino si tiene una piccola sagra, con frittelle di baccalà, “sgabei” ovvero pane fritto, e dolci tipici. Per l’occasione entra in funzione l’ufficio postale, da cui si possono spedire cartoline con timbro a secco e annullo speciale – disegnati appositamente – che indicano il giorno e il luogo. E non può mancare un vino eccezionale per la ricorrenza: bianco e dal gusto leggermente fruttato, conservato in bottiglie senza etichetta, il Bianco di Tino lo si può gustare soltanto il giorno di San Venerio.