Per chi giunge a Olbia dal continente, mentre la linea verde-azzurra della terra si avvicina, la nave è miracolosamente invasa dal profumo della macchia. Dalla superficie del mare emergono scogli levigati dalle onde e dal vento, coltivazioni di mitili e, più lontano, la mole di Tavolara perduta nella foschia.
E’ questo il primo impatto con la Sardegna, sbarcando con la propria automobile nel porto di Olbia, che non è veramente cambiata molto negli anni, anche se oggi i traghetti che sfornano auto cariche di windsurf e biciclette, borse da golf e cani, racchette da tennis e pinne, hanno sostituito le navi a vapore che riportavano sull’isola i sardi emigrati per trovare lavoro a Milano o Torino.
In genere Olbia è considerata un passaggio obbligato, un ultimo ostacolo da superare prima di conquistare la meta finale della vacanza. Del resto non è facile far finta di non vedere le costruzioni anonime sul lungomare, lo svincolo sul canale e le auto parcheggiate in tripla fila.
Anche corso Umberto, che penetra nel quartiere ottocentesco, è una sequenza di bar, negozi di abbigliamento, di articoli sportivi, di gioiellerie con i coralli sardi. Della antica Terranova, nome che le venne dato intorno all’anno Mille, rimane San Simplicio, la chiesa romanica costruita in granito grigio con un bassorilievo in marmo, che risale all’epoca bizantina, sulla facciata.
Superato l’aeroporto Costa Smeralda, la strada attraversa un paesaggio deturpato dalle costruzioni in finto stile mediterraneo, che si arrampicano fino in cima alle colline. Il mare è lontano, nascosto da una serie di villaggi vacanze e recinzioni. Per fortuna spuntano i profili delle isole di Tavolara e Molara a ricordare che non sono lontane le acque trasparenti e pescose che entrano in piccole baie solitarie raggiungibili solo dal mare.
Il promontorio di Capo Ceraso è rimasto uno dei rari tratti disabitati di questacosta. Unica traccia del passaggio dell’uomo il faro che già in epoca romana segnalava i pericoli ai marinai e una scalinata che sale alla cima del monte Mandriolo.
Il grande stagno di San Teodoro, chiuso dalla sottile striscia di sabbia della spiaggia della Cinta che lo separa dal mare, regala un’altra immagine di una Sardegna anni Sessanta.
San Teodoro, immerso nel verde, conserva le vecchie case in pietra mentre le nuove costruzioni sono discrete. Il centro, raccolto intorno alla chiesa, è però inquinato dalle insegne non proprio eleganti dei ristoranti e delle pizzerie.
Arroccato in cima ad uno sperone calcareo, il medievale borgo di Posada ha mantenuto il fascino di un tempo: vecchie case in pietra grigia costruite sul precipizio, un dedalo di vicoli collegati da ripide scalinate che si aprono in piccole piazze.
Del Castello della Fava rimane solo una grande torre quadrata. Una scala in legno porta alla sommità, da cui si ammira la pianura fertile con le coltivazioni di aranci e mandarini e la foce del fiume con i suoi isolotti circondati da tamerici.
Due chilometri di spiaggia bianca e profonda chiusa da una pineta, limitata a nord dal borgo di San Giovanni e a sud dal porto di pescherecci di Santa Lucia.
La Caletta è la spiaggia di Siniscola, affollata in estate da nuoresi in cerca di abbronzatura. Santa Lucia è un piccolo centro di pescatori, sembra di origine ponzese, raccolto intorno a una chiesetta e alla torre saracena, e circondato da una pineta.
Nonostante le belle spiagge è riuscito ad assorbire senza danni il boom del turismo mantenendo intatto il proprio fascino.
La spiaggia bianca, ombreggiata dai pini, continua per chilometri verso sud fino alle dune di Capo Comino, alte una decina di metri, su cui crescono gigli e orchidee selvatiche. Alle spalle, tamerici sparse e un ginepro, contorno e nodoso, in lotta secolare contro il vento.
La statale procede in saliscendi: a destra la macchia mediterranea e le rocce; a sinistra la pineta e l’azzurro mare.
All’altezza del rio Berchida (al km. 243 della statale 125) una strada bianca porta, dopo circa 5 km, ad una lunga spiaggia bianca di fine sabbia. Un’altra strada conduce allo stagno di Sa Curcùrica e alla spiaggia di Bidderosa. In quest’oasi naturale, circondata da pini, eucalipti e ginepri, vivono molti uccelli, tra cui il falco pescatore, la garzetta e la folaga.
Orosei, capoluogo storico delle Baronie, è una cittadina moderna che ha conservato un bel centro storico con case in pietra e calce affacciate su cortili lussureggianti di ficus e altre piante tropicali. Seguendo il senso unico che porta verso il centro si arriva alla chiesa di Sant’Antonio Abate, un tempo campestre, ora inglobata nella città.
All’interno del recinto le cumbessias sono oggi abitate permanentemente. Nella torre pisana è allestita una vendita-esposizione di artigianato.
Attraverso un dedalo di stradine si arriva alla piazza centrale, ombreggiata da un bel giardino. Su di essa si affacciano un paio di bar, la pro loco e alcune chiese: in cima a una scalinata la parrocchiale di San Giacomo dalla facciata settecentesca e le cupole ricoperte di mattoni. Sul lato opposto la facciata barocca della chiesa del Rosario e quella più austera della chiesa delle Anime.
Sulla riva settentrionale del Cedrino, in un giardinetto bucolico con palme, oleandri, rosmarino e ginestre, sorge la chiesa di Santa Maria di Mare. Costruita da mercanti pisani nel XIII secolo è meta, l’ultima domenica di maggio, di una processione che parte dalla parrocchia di San Giacomo. Al ponte sul Cedrino la statua della santa, il sacerdote e i fedeli
salgono su barche infiorate che scendono il fiume fino alla chiesa. In questo punto il Cedrino si allarga, dividendosi in due rami: quello settentrionale rientra in mare grazie a una foce artificiale e quello meridionale dà vita allo stagno Su Petrosu.
L’area è un’importante zona umida, habitat di numerosi uccelli tra cui germani reali e polli sultani, cavalieri d’Italia e aironi cinerini, garzette e fenicotteri rosa. Al di là dell’estuario sorge Marina di Orosei, una lunga spiaggia di sabbia fine con un canale frequentato da pescatori in attesa di portare a casa il loro bottino.
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