I fenicotteri si alzano in volo al tramonto, sugli stagni che hanno fatto descrivere il Sinis come la Camargue italiana.
Dalle lagune salmastre di Sale Porcu, di Mistras e di Cabras, gli eleganti uccelli dal becco ricurvo e dal piumaggio rosato si alzano a sorvolare gli acquitrini e le spiagge, i piccoli centri di pescatori e le torri cinquecentesche del promontorio alle porte di Oristano. Poi, uno dopo l’altro, tornano a posarsi sull’acqua.
Sulla costa occidentale dell’Isola, raggiungibile con una brevissima deviazione dalla statale 131 (la “Carlo Felice”) che collega Cagliari con Sassari e Porto Torres, il promontorio del Sinis non offre a chi lo visita i selvaggi paesaggi rocciosi di Capo Caccia e della Gallura, ma è in tutte le stagioni una delle mete più interessanti della Sardegna.
D’estate, da Is Arenas a Putzu Idu, la penisola offre alcune delle spiagge più belle e solitarie dell’isola. In tutte le stagioni meritano una visita le magnifiche romane e fenicie di Tharros, che si affacciano sulle limpide acque di Capo San Marco, la basilica di Santa Giusta, il suggestivo santuario ipogeo di San Salvatore, il fortilizio nuragico di s’ Uraki alle porte del borgo agricolo di San Vero Milis.
A primavera, però, il Sinis è soprattutto una grande meta per gli appassionati di natura. I sentieri e le carrarecce del litorale e delle rive degli stagni permettono escursioni a piedi e a cavallo, pedalate in bicicletta e in mountain bike. Sulle rive dei grandi stagni di acqua salmastra, tuttora intensamente sfruttati dai pescatori, gli appassionati del birdwatching possono avvistare, oltre ai fenicotteri, specie rare come il falco di palude e il cavaliere d’Italia, la pittima e l’avocetta.
Sulla costa di Turri ‘e Seu, la prima oasi WWF della Sardegna, si avvistano uccelli marini come il cormorano, il falco della regina ed il gabbiano corso.
E la costa non esaurisce le attrattive di questo angolo della Sardegna. Pochi km all’interno, tra i fitti boschi di querce da sughero e le tancas (i tradizionali muri a secco) dell’Altopiano di Abbasanta, attendono il viaggiatore le antiche e suggestive architetture dei nuraghe Losa, Atzara e Lughèrras, rivestite dai licheni e circondate dai fichi d’India.
Vicina se si bada ai km, la Sardegna delle spiagge e del sole sembra mille miglia lontana.
A portata di mano per le migliaia di viaggiatori che percorrono la Carlo Felice, Oristano viene spesso trascurata da chi corre alla massima velocità possibile verso i fenicotteri e le splendide spiagge del Sinis. Ma chi non si ferma commette un errore.
Oristano, infatti, è una città piacevole e interessante, che merita senz’altro una sosta anche da parte del più frettoloso viaggiatore. Nacque nel 1070, quando il giudice Onrocco d’Arborea spostò la propria capitale da Tharros, l’antica città troppo esposta alle incursioni saracene che arrivavano dal mare, verso un piccolo centro antico dell’entroterra.
La nuova città divenne importante nel Trecento quando, sotto Mariano IV e sua figlia Eleonora d’Arborea, fu di fatto la capitale dell’isola e il centro della lotta contro l’espansione Aragonese nell’isola. Ma la coraggiosa lotta di Eleonora e del suo popolo si spense con la peste del 1402, nella quale, insieme a migliaia di sudditi, morì anche la sovrana più amata della storia sarda.
A partire dal 1409, il consolidamento del potere spagnolo sulla Sardegna determinò la rapida decadenza di Oristano. Anche i monumenti cittadini, costruiti in gran parte nel Trecento, conobbe un serio degrado. La ripresa ha avuto inizio nell’ottocento, ed è proseguita con lo sviluppo industriale nel Novecento. Il suo momento culminante è stata l’istituzione nel 1974 della nuova Provincia. Animata ma non troppo, la città conserva un centro con vari monumenti interessanti.
La visita può iniziare da piazza Mannu o da piazza Roma, sulla quale si affaccia la Porta Manna, costruita nel 1291 dal giudice Mariano II. In entrambi e casi, bastano pochi minuti per raggiungere il Duomo di Santa Maria, il più importante monumento cittadino, costruito nel 1228 ma radicalmente rimaneggiato nel 1721. Nell’interno, in gran parte barocco, spicca l’elegante Cappella de Rimedio, l’unica a conservare le primitive forme gotiche della chiesa.
A poca distanza dal Duomo, merita una sosta anche la chiesa di San Francesco, ricostruita nel 1838 inglobando i resti di un convento medievale, al cui interno vi è l’elegantissimo crocifisso ligneo che gli Oristanesi conoscono come Il Nicodemo. Nella sagrestia sono conservate statue marmoree e dipinti di notevole livello.
Completa la conoscenza di Oristano uno sguardo ai palazzi gentilizi del centro (il più interessante è il Palazzo De Castro, del Cinquecento), una sosta davanti al monumento ottocentesco a Eleonora d’Arborea e soprattutto la visita all’Antiqurarium Arborense, che include reperti antichi provenienti da Tharros e dal resto del Sinis, e quadri medievali.
Si esce da Oristano seguendo le indicazioni per Cabras, il grosso borgo di pescatori che costituisce l’autentica porta d’ingresso agli stagni salmastri del Sinis. Toccato o lasciato sulla destra l’abitato, si costeggia la spiaggia di Marina di Torre Grande, e si prosegue in vista degli stagni di Cabras e di Mistras, sui quali compaiono con una certa frequenza i fenicotteri. Tenendosi a sinistra ai bivii, si raggiunge San Giovanni in Sinis, piccolo e piacevole centro balneare a poca distanza dagli scavi antichi di Tharros. Prima di visitare la città antica, merita una sosta la semplicissima chiesa di San Giovanni, costruita poco dopo il Mille inglobando una chiesa paleocristiana di quattro secoli più antica.
Lasciata a destra la spiaggia, una breve salita porta al posteggio dell’ingresso degli scavi di Tharros, importante città fondata dai Fenici nell’800 a.C. in un luogo già utilizzato da precedenti insediamenti, poi passata ai Romani e definitivamente abbandonata poco prima del Mille.
All’interno della zona archeologica meritano attenzione una bella strada lastricata di epoca romana, il Tempio delle Semicolonne Doriche, Le Terme e il Tempio delle Iscrizioni Puniche. Sulla collina più a nord, proprio di fronte al parcheggio, si trovano le rovine del tophet, il santuario principale, e della parte meglio conservata delle mura. La visita richiede circa un’ora.
Oltrepassando l’ingresso delle rovine di Tharros, è possibile proseguire a piedi in direzione di Capo San Marco, il promontorio che segna l’estremità meridionale del Sinis. Lungo la passeggiata, fattibile anche in mountain-bike, si incontrano due torri cinquecentesche, i resti di un nuraghe e di vari costruzioni puniche, e un’atmosfera decisamente più tranquilla di quella dell’affollata zona archeologica di Tharros. Il periplo completo del promontorio richiede un paio d’ore. Naturalmente è possibile limitarsi a un percorso più breve.
Tornati a S. Giovanni in Sinis, si riprende la via per Oristano. Da un bivio poco oltre il termine dell’abitato, una strada sterrata verso sinistra riporta alla costa in corrispondenza delle costruzioni di Funtana Meiga, un caotico insediamento balneare sorto a partire dal 1990. Traversato l’abitato, una strada sterrata porta all’ingresso dell’Oasi di Turri ‘e Seu, che tutela uno degli angoli più interessanti della costa del Sinis e merita senz’altro una breve passeggiata.
Nata nel 1981 ed estesa su 111 ettari, questa piccola ma interessante area protetta deve il suo nome alla “Torre del Sale” che domina questo tratto di costa. A tratti roccioso e a tratti sabbioso, il litorale dell’Oasi e l’altopiano al suo interno sono rivestiti da una magnifica macchia mediterranea e ospitano il falco pellegrino, il gheppio, la pernice sarda, il coniglio selvatico e il raro coleottero Typhaeus hostilis.
Lungo il sentiero che costeggia la scogliera si raggiunge in una ventina di minuti la Torre che è il centro ed il simbolo dell’area protetta, oltre la quale si può scendere ad una bellissima spiaggia, di fronte alla quale spiccano un relitto incagliato sugli scogli e le belle isole Is Caogheddas, che si possono raggiungere a piedi nell’acqua poco profonda. Chi vuole completare la conoscenza della zona può aggirare la successivai nsenatura, raggiungendo la Punta Maimoni.
Tornati all’auto, si prosegue per 5 km in direzione di Oristano, si devia a sinistra e si raggiunge in breve la chiesetta di San Salvatore in Sinis. Proprio accanto a questa, una botola e una scaletta portano al sottostante ipogeo, un piccolo ed emozionante santuario nuragico trasformato dai Cartaginesi e poi dai Romani. Scavato nell’arenaria, il luogo di culto conserva delle pitture in bianco e nero, cui si sono affiancate nei secoli scritte, firme e disegni tra cui quello di un galeone seicentesco.
Da San Salvatore si riparte verso nord in direzione di Putzu Idu e di Su Pallosu, lasciando a sinistra due deviazioni per la costa. Sbucati sulla strada che proviene da Riola Sardo e dalla Carlo Felice la si segue a sinistra, e si prosegue tra i campi fino alla piccola località balneare di Putzu Idu, all’ingresso della penisola di Capu Mannu.
Tra le strade che conducono alla costa occidentale del Sinis, la più interessante è senz’altro quella che porta in 7 km alla spiaggia di finissimi ciottoli bianchi di Is Arutas. Non deturpato da costruzioni, questo tratti di litorale è tra i più piacevoli della Sardegna.
All’ingresso di Putzu Idu conviene senz’altro piegare a sinistra per una strada sterrata affiancata da varie costruzioni, fino a raggiungere l’orlo delle friabili scogliere di Su Tingiosu, nelle quali si apre un piccolo arco naturale. Tornati indietro per la stessa via, si riprende sulla strada principale.
Costeggiata la spiaggia di Cala Saline, si raggiungono in breve le piccolissime località balneari di Porto Mandriola e di Su Pallosu. A piedi, tra rocce friabili modellate dall’erosione, è possibile proseguire in direzione del promontorio di Capo Mannu, che segna l’estremità nord-occidentale del Sinis.
Lasciata la penisola di Capo Mannu, si torna verso l’interno lungo la strada per Riola Sardo e San Vero Milis. A 4 km da Putzu Idu, sulla destra, sono due successivi viottoli d’ingresso all’Oasi LIPU di Sale Porcus. Il primo di questi porta in breve all’interessante Museo del Fenicottero, di recente realizzazione e purtroppo aperto solo saltuariamente.
Il secondo, che inizia accanto ad un’azienda agrituristica, raggiunge e costeggia la sponda orientale dello stagno di Sale Porcus. A piedi o in bicicletta (per il primo tratto anche in auto), è possibile continuare per un paio di km sulla riva, osservando senza troppe difficoltà i fenicotteri che sostano nelle acque basse dello stagno.
Tornati alla strada principale, si continua lungo questa fino alla statale 292. La si attraversa, si incrocia anche la successiva strada che collega Riola sardo con Narbolia e si raggiunge San Vero Milis, grosso centro agricolo al cui ingresso si trova l’imponente complesso del nuraghe s’ Uraki, formato da un torrione centrale parzialmente interrato e da dieci torri minori collegate da delle ben visibili muraglie. Accanto alle fortificazioni si possono notare i resti di un villaggio punico utilizzato anche in età romana.
Passata San Vero, si seguono le indicazioni per Milis, altro tranquillo centro agricolo che si raggiunge dopo 6 km. All’ingresso del paese si trova l’interessante chiesa di San Paolo, iniziata tra il 1140 e il 1150 e terminata nel primo Duecento, che ricorda nello stile la non lontana basilica di Santa Giusta.
Da Milis, altri 6 km ai piedi degli aspri pendii del versante meridionale del Monte Ferru, portano a Bonacardo. In paese meritano senz’altro una visita l’interessante chiesa romanica di Santa Maria e l’antichissimo santuario della Madonna di Bonacattu, risalente probabilmente al secolo VII.
Chi vuol salire alla scoperta delle rocce, dei panorami e della fauna del Monte Ferru deve proseguire da Bonacardo verso Santu Lussurgiu, e continuare sulla strada per Cuglieri fino al valico di Badde Urbara e ai vicini impianti del Corpo Forestale Regionale. La strada sterrata che inizia da questo punto, e che può essere percorsa a piedi oppure in auto, costeggia alcuni recinti faunistici e prosegue sul crinale principale del massiccio, tra macchia mediterranea e bizzarri torrioni rocciosi, tra cui spicca l’elegante Monte Pertusu.
Volte le spalle al Monte Ferru, si segue ora la strada provinciale per Paulilatino, che attraversa una breve zona coltivata e poi si inoltra in salita tra le querce da sughero dell’Altopiano di Abbasanta, tra le quali si nascondono numerosi nuraghe ricoperti dalla fitta vegetazione.
Dopo esattamente 8 km da Bonacardo, una stradina non facile da individuare sulla sinistra della provinciale porta in 2 km al Nuraghe Lugherras, uno dei più interessanti dell’isola, difficile da individuare da lontano dato che la costruzione parzialmente interrata. Esplorato dagli archeologi all’inizio del Novecento, il nuraghe si articola in una mastio della media Età del Bronzo a due camere sovrapposte e in una cerchia di mura un po’ più tarda. Sulla sommità dell’edificio è stato successivamente costruito un tempietto cartaginese. Il monumento ha restituito agli archeologi statuette e monete puniche e romane.
Dalla provinciale Bonacardo-Paulilatino, poche centinaia di metri prima della deviazione per il nuraghe Lugherra, si stacca a sud un altro viottolo che conduce in breve al Nuraghe Atzara, ricoperto da rigogliosi fichi d’India. Dal valloncello ai suoi piedi, per sentieri e strade campestri, è possibile attraversare l’altopiano fino a raggiungere il villaggio di Santa Cristina.
Si prosegue verso est sulla provinciale, raggiungendo dopo altri 4 km la Carlo Felice in corrispondenza dello svincolo di Paulilatino. Senza raggiungere il paese, si imbocca verso sinistra la statale, e la si segue per altri 4 km fino al bivio per Nuoro e Olbia, accanto al quale si trova l’ingresso dello splendido nuraghe Losa, uno dei più noti e suggestivi della Sardegna. Questa magnifica fortezza di pietra lavica rossastra, ricoperta da licheni e da edera, ha al centro un’imponente e antichissimo mastio a tre piani. La cinta di mura esterna, invece, conserva i segni evidenti della ristrutturazione avvenuta nel settimo secolo a.C., e include due porte a vestibolo in stile punico.
Dopo un ultimo sguardo al nuraghe, si riparte verso sud sulla statale 131. Dopo 8 km, una breve deviazione porta all’interessante Villaggio Nuragico di Santa Cristina, che sorge a poche decine di metri dalla Carlo Felice. Costruito nella tarda Età del Bronzo e circondato da un ampio recinto sacro, il tempio a pozzo al centro del complesso è uno dei meglio conservati della Sardegna, e ha restituito agli archeologi una serie di belle statuette bronzee di stile fenicio. Accanto all’area sacra antica si trova la chiesetta campestre di Santa Cristina, alla quale si affiancano una serie di ricoveri per i pellegrini.
Tornati ancora una volta alla superstrada, la si segue per un buon tratto verso sud, in direzione di Oristano e Cagliari. Il tracciato si abbassa in un bel paesaggio di colline, passa ai piedi del Nuraghe Crabia, poi raggiunge la pianura e si aggira a est la città di Oristano. La si lascia allo svincolo di Oristano Sud, dal quale si raggiungono in breve l’abitato e la splendida cattedrale di Santa Giusta.
Edificata tra il 1135 e il 1145 con una pietra calcarea dal magnifico colore dorato, questa chiesa è una delle più importanti della Sardegna. Particolarmente spettacolare è la severa facciata caratterizzata da influssi lombardi. L’interno silenzioso e solenne è scandito dalle eleganti colonne recuperate dalle vicine città antiche di Tharros, Othoca e Neapolis. Terminata la visita alla cattedrale, altri 3 km verso nord riportano a Oristano.
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