La varietà geografica del territorio chietino esemplifica quella dell’intero territorio sud-orientale dell’Abruzzo: dalla costa bagnata dal mar Adriatico si passa alla collina e da qui, repentinamente, alla montagna.
A ridosso della Val Pescara, sulla sommità di una dorsale montuosa che ha caratterizzato fortemente la fisionomia urbana della città, sorge Chieti, in una felice posizione panoramica che guarda ad oriente il vicino Adriatico e ad occidente il rilievo della Maiella.
La città, che vanta antichissime origini, ha avviato dall’ultimo dopoguerra un processo di industrializzazione che ha trovato la sua sede naturale nella parte bassa del paese (Chieti Scalo), in prossimità della ferrovia e al confine con la zona industriale di Pescara, della quale rappresenta il proseguimento senza soluzione di continuità. La nascita poi, nel 1963, del Consorzio della Val Pescara ha contribuito fortemente alla trasformazione dell’economia chietina da agricola e commerciale in industriale.
Nel territorio del Comune di Chieti si assiste, così, ad un repentino cambiamento: il fondo valle contrassegnato dagli insediamenti industriali lascia il passo, salendo sulla collina, prima a casali immersi negli uliveti per arrivare poi, in cima, al centro storico della città.
Chieti, l’antica Teate Marrucinorum, capoluogo delle popolazioni italiche dei Marrucini, fu municipio romano intorno al I sec. a.C. Distrutta dai Visigoti e dagli Eruli, fu riedificata da Teodorico. Conquistata nell’802 da Pipino, re d’Italia, fu incorporata nella provincia Valeria; nel secolo successivo divenne capoluogo della vasta contea di Teate e assoggettata alla corona normanna. Nel XII sec., sotto gli Svevi, riprese la sua autonomia. Dal re Alfonso I di Napoli ebbe grandi privilegi. Divenuta metropoli degli Abruzzi, fu sede arcivescovile. In seguito venne fortificata dal duca d’Alba e servì come difesa dalle invasioni dei Francesi. Nella seconda metà del XV sec. ebbe il privilegio di battere moneta. Nel 1646 venne infeudata ai Caracciolo ma ben presto insorse e riebbe le libertà demaniali. Quindi fu sotto il dominio spagnolo e poi sotto i Borboni. Occupata due volte, nel 1799 e nel 1806, dalle truppe francesi durante la breve parentesi della repubblica napoleonica, ritornò sotto il regno di Napoli dei Borboni e seguì la storia di questa dinastia fino all’unità d’Italia.
Il percorso alla scoperta della città può cominciare da piazza V. Emanuele II, un polo che divenne rilevante a partire dal IX sec., quando il vescovo Teodorico I ordinò il rifacimento della cattedrale, già esistente a quell’epoca. Ma è al sec. XI che risale l’odierna e complessa planimetria della chiesa, dedicata a S. Giustino, patrono della città. Ricostruita quasi del tutto nel ‘300 e alterata più volte nel corso del tempo, è stata completata in forme medievali in questo secolo. La facciata e il fianco destro, quello che prospetta sulla piazza, sono opera dell’architetto Guido Cirilli. Lo svettante campanile adorno di bifore ogivali, iniziato da Bartolomeo Di Giacomo, fu ultimato da Antonio da Lodi al quale si devono anche altri campanili in Abruzzo e, particolarmente, nel teramano. Attraverso un portale posto al sommo di una gradinata, sul fianco destro della chiesa, si accede al fastoso ed ampio interno a croce latina, a tre navate, con volta a botte. Attraverso due scale si scende nella cripta dalla pianta irregolare: demolite le decorazioni in stucco barocche, è stata riportata recentemente in vista l’antica e sobria struttura romanica dell’XI sec. Dalla cripta si accede alla Cappella del Suffragio decorata con stucchi dorati del XVII sec. Ricco e pregevole il tesoro col prezioso calice d’argento dorato, il messale miniato Borgia e la statua d’argento della Madonna del Popolo di scuola napoletana del XVII sec.
Su piazza V. Emanuele si affaccia il Palazzo Municipale di forme neoclassiche, che conserva alcune testimonianze dell’originario Palazzo Valignani e il Palazzo di Giustizia in stile pseudo-gotico, sulla sua sinistra è possibile godere di un suggestivo panorama sulla Maiella, il Gran Sasso e il mare.
E’ d’obbligo una passeggiata lungo corso Marruccino, l’arteria principale della città. In parte porticato, è luogo di incontro e passeggiate. In questo tratto si incontrano le chiese barocche di S. Domenico e S. Francesco. Arrivati in Largo Valignani c’è il Teatro Marrucino (XIX sec.) e, sulla sinistra, in via de Lollis, il palazzo Martinetti (XVIII), in cui ha sede la Pinacoteca Provinciale “Costantino Barbella” che conserva opere dal XIV sec. ad oggi, tra queste sono da segnalare alcune tra le più belle tele di Francesco Paolo Michetti.
Nei pressi del corso Marrucino e alle spalle del duomo si può raggiungere l’Esedra della Pescheria, una gradevole struttura semicircolare con porticato in stile neoclassico ed una piazzetta centrale, purtroppo oggi fine a se stessa in quanto da molto tempo non è più utilizzata come pescheria.
Vestigia dell’antica Teate si possono ammirare in piazza dei Templi Romani, dove sono situati tre tempietti, di cui due gemelli, in opus reticolatum, risalenti al I sec. d. C. Tali edifici chiudevano il lato nord-ovest del foro romano, la cui area si estendeva fino all’attuale corso Marruccino.
Non lontano, su via Porta di Napoli, i resti del teatro romano risalente al I – II sec. La cavea di 84 metri di diametro sfruttava, nella sua parte meridiana, il pendio della collina.
Su via Giovanni XXIII si trovano le terme, la più significativa testimonianza architettonica della città romana. Una grande cisterna, ben conservata, scavata nel tufo della collina, forniva l’acqua alle terme ma, probabilmente, costituiva anche la riserva idrica della città. Attraverso una scala si scende negli ambienti termali: nella prima sala possiamo ammirare il mosaico pavimentale raffigurante un delfino attorno ad un tridente e due ippocampi. Seguono gli ambienti riscaldati ad aria calda e quelli di servizio.
Inserito in fondo alla bella e rigogliosa villa comunale si trova il Museo Nazionale di antichità, che conserva la più importante raccolta archeologica dell’Abruzzo. Suddiviso in due edifici, ospita una sezione “preistoria e protostoria” che custodisce una ricca documentazione di utensili provenienti dalle grotte di Graziani, di Ortucchio, del Piccioni di Bolognano, della quale notevoli sono le ceramiche dipinte dell’ultimo periodo della cultura Ripoli; tombe neolitiche, stratigrafie cavernicole, nonché una serie di corredi dell’età del bronzo e del ferro dalla necropoli di Alfedena. La sezione “archeologica” molto ricca ed interessante conserva le collezioni abruzzesi di arte antica italica, greca e romana.
Un percorso che riscuote sempre molto interesse, soprattutto perché permette di conoscere la città da un punto di vista sconosciuto, è Chieti Sotterranea, che permette di percorrere la via Tecta, o via coperta, una galleria ipogea conservata per 45 metri di lunghezza e 4 metri circa di altezza e che, con i cunicoli collegati, ha uno sviluppo complessivo di 90 metri. Essa è posta nei piani interrati del seicentesco Palazzo de’ Mayo ed è la testimonianza di una delle più antiche direttrici di raccordo tra l’area monumentale urbana e la zona termale della antica città romana di Teate.
Per quello che riguarda la cucina, il territorio della provincia di Chieti non ha nulla da invidiare al resto della regione o del Paese. Ogni centro del chietino può offrire esperienze culinarie diverse, tipiche e gustose. Ecco allora una proposta di 6 piatti che è impossibile non assaggiare dopo una vacanza da queste parti.
Sempreverde della cucina chietina e abruzzese in generale sono i maccheroni alla chitarra, varietà di pasta all’uovo larghi e spessi circa 3 millimetri, che assumono la forma di spaghettoni squadrati. Prendono il nome dall’attrezzo usato per prepararli, la chitarra appunto. Generalmente vengono conditi con ragù misto di carne di manzo, maiale o agnello.
Altro piatto simbolo di quest’area sono le tuncenelle: si tratta di pietanza a base di budella d’agnello o capretto, riempite con le frattaglie dell’animale (trachea, polmoni, fegato, coratella), spezzettati e insaporiti con aromi e peperoncino. Mentre la versione teramana è un involtino di coratella di agnello fatto di indivia e legato con le budella dello stesso animale, le tuncenelle non prevedono l’uso della verdura, anche se la radice di ricetta dei pastori è comune. Nella versione chietina, l’impasto di frattaglie viene avvolto nel budello, fino a ottenere una sorta di salamino, da cucinare in padella con olio, pomodoro e vino bianco. I più golosi lo preferiscono sulla griglia o al forno.
Tipico della città di Lanciano e dei paesi limitrofi è il rintrocilo, pasta all’uovo che, secondo la tradizione, deve essere un unico spaghetto lunghissimo, steso a mano senza aiutarsi con nessun arnese. Proibiti quindi, dalla tradizione, la chitarra o il matterello. Più spesso del maccherone alla chitarra – il diametro può arrivare fino a 5 millimetri, viene condito con il sugo di pecora o il ragù di castrato. Nasce come primo piatto natalizio, ma oggi viene preparato tutto l’anno.
Come contorno, non propriamente fresco e leggero, la cucina della tradizione propone le cosiddette “rape strascinate”, ossia rape prima ammollate in acqua fredda, poi bollite con l’aglio rosolato e ripassate in padella con olio e peperoncino a volontà.
Tipico di Vasto e dei comuni costieri è il brodetto alla vastese, che si differenzia per piccoli particolari dalle altre varietà dell’Adriatico. Viene cucinato con pesci piccoli, messi nel tegame in momenti diversi a seconda dell’ordine di cottura, conditi con pomodori e peperoni. Oggi, i più fedeli alla tradizione usano condire la pasta con il sugo che avanza dopo aver mangiato tutto il pesce.
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