Chi non ama la calura del Mezzogiorno apprezzerà molto l’entroterra del Cilento. Qui si trovano delle zone ideali, dalla primavera fino all’autunno inoltrato, per fare escursioni in mezzo alla frescura di fiumi e boschi.
La natura ancora intatta assicura tranqullità al visitatore, ma offre anche un ambiente eccezionale per dedicarsi alle attività sportive tipiche di un turismo “morbido”.
La modernità ha raggiunto ormai anche il paesino di Felitto: nel 2000 vi è arrivato persino un distributore, inaugurato con una solenne processione e con la benedizione del prete. Il caso di Felitto non è eccezionale per il Cilento: il paese si trova in cima ad un massiccio carsico, ha anche un castello e anch’esso è di origine medievale. Degne di nota sono le torri difensive che facevano parte della cinta muraria e la Chiesa di Santa Maria dell’Assunta, del XIII secolo. Felitto è circondato da una natura che fa di questa zona del Cilento una delle più belle d’Italia.
Una visita particolarmente rinfrescante anche d’estate può essere quella alle Gole del Calore, raggiungibili nel modo più comodo proprio da Felitto, in circa un’ora di cammino.
Il Calore sgorga dalle pendici del Monte Cervati, scorre in direzione nord e dopo 63 km, ormai fuori dal Cilento, confluisce nel Sele. Fino a Roccadaspide il suo corso è estremamente spettacolare in diversi punti: nel suo cammino attraversa tutti gli ambienti del Cilento, dal castagneto fittissimo alla macchia mediterrranea fino al canneto tipico della zona in cui esso termina la sua corsa.
Venendo da Laurino, quando iniziano le prime case di Felitto la prima strada a sinistra conduce al fiume. La strada che costeggia la sponda occidentale del Cadore veniva utilizzata un tempo per portar via le castagne dopo la raccolta. Per circa 30 minuti si resta molto vicini alla riva, poi la strada se ne allontana, sale e scende di nuovo, restando vicina al fiume fino a Magliano Nuovo.
Le Gole del Calore, con le loro pareti calcaree estremamente ripide o addirittura a strapiombo, sono tuttora un ecosistema splendido. Qui crescono ontani, salici, boschi di carpini, grandi cespugli di alloro e mirto, alberi di lentisco, fragole di bosco e ginestre. Non solo: diverse specie di felci vi crescono particolarmente bene, ed è anche ad esse che Felitto dfeve il suo nome nella notte dei tempi.
A sud delle Gole del Calore si trovano i due paesi di Stio e Gioi. Stio è probabilmente di origine greca. Da apprezzare, oltre alla posizione rialzata fra Alento e Calore, la Chiesa, conservata in modo eccellente, degli Apostoli San Pietro e Paolo, del 1750, nonché quelle di San Gennaro e Santa Maria degli Angeli del XVI e XVII secolo.
A Gioi un tempo c’era solo un castello, circondato da mura turrite. In queste ultime si aprivano quattro porte, si cui solo quella dei Leoni si è conservata. Interessante anche il chiostro del Convento di San Francesco, del XV secolo, con i suoi affreschi e le colonne che, come vuole la tradizione, provengono da Velia.
Nelle vicinanze di Gioi si trova Vallo della Lucania, principale centro del Clento e sede amministrativa del Parco Nazionale. Vallo sorge su una propaggine del Monte Gelbison. Fino al secolo XV contava a malapena 300 abitanti, mentre oggi rappresenta la “piazza del mercato” di tutto il Cilento. Vi si trova anche il Museo Diocesano, aperto nel 1965 come pinacoteca della diocesi. Accanto ad opere artigianali d’ispirazione cristiana esso espone soprattutto dipinti, cui sono da aggiungere quelli che si trovano nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie (1480).
Vallo della Lucania si offre come base di partenza per un’escursione sul Monte Gelbison, detto anche Monte Sacro perché in cima ad esso sorge il Santuario della Madonna di Novi Velia (aperto dalla fine di maggio alla fine di ottobre). Il santuario, fondato dai monaci basiliano nella seconda metà del X secolo, è uno dei luoghi di pellegrinaggio più frequentati della Campania. La “Madonna Nera” che vi si trova è presumibilmente di origine africana.
In cima al Gelbison si può arrivare sia in auto che a piedi. All’ingresso del paese di Novi Velia si trova un cartello indicatore. La strada inizialmente costeggia il torrente Torna. La passeggiata a piedi dura circa 5 ore e in occasione dei due pellegrinaggi annuali che si svolgono nel mese di maggio e in quello di ottobre rappresenta un’esperienza davvero speciale. Arrivano qui centinaia di fedeli, molti dei quali in pullman, da paesi anche molto distanti, per vedere lo scrigno con la Madonna Nera, aperto per l’occasione. Prima della celebrazione si svolge un picnic nel parcheggio, condito ad canti in onore della Madonna.
Il sentiero che sale al santuario non è propriamente comodo, soprattutto per i più rigorosi tradizionalisti, che salgono a piedi scalzi per tutto il percorso, o almeno per l’ultimo tratto, della via crucis. A metà tragitto chi ha sete si può rinfrescare alla sorgente del Fiumefreddo, sotto lo sguardo di una statua mariana posta in una nicchia.
Ancora più su il sentiero, utilizzato dai “cilentani della costa”, confluisce con la strada e con l’altro sentiero utilizzato per raggiungere la cima dai fedeli provenienti dall’entroterra del Cilento.
Dopo un ultimo sforzo su per una scalinata ci si trova a 1705 metri d’altezza. Nelle giornaate limpide il panorama spazia dal vulcano di Stromboli, nelle Isole Eolie, a sud, fino al Vesuvio a nord.
E’ il secondo parco nazionale italiano per superficie e occupa oltre un terzo della provincia di Salerno. Dal 1998 il Parco Nazionale del Cilento è l’unico ambiente dell’area mediterranea che rientri nel patrimonio culturale dell’umanità classificato dall’UNESCO. Già un anno prima l’area era stata accolta nel programma Uomo e biosfera della stessa UNESCO come riserva da salvaguardare.
Nel Cilento, che si estende su 181.048 ettari, si può riscontrare un raro, e per la Campania unico, equilibrio, per quanto fragile, tra uomo e natura.
Nell’antichità il territorio a sud della foce del fiume Alento veniva chiamato cis alentum, “al di qua dell’Alento”. L’attuale estensione del Cilento a nord si spinge oltre la suddetta foce fino ad Agropoli. Sono giunte qui negli ultimi anni soprattutto giovani famiglie desiderose di trscorrere vacanze non troppo costose in un luogo capace di offrire diverse possibilità di svago.
Il Cilento evidenzia l’altro volto della Campania. Piccoli corsi d’acqua come il Calore o il Tanagro attraversano il territorio seguendo un corso che non è stato modificato dall’uomo, e con le loro cascate e argini naturali rappresentano un habitat ancora pulito per la più numerosa popolazione italiana di lonttre, gli animali simbolo del Parco Nazionale. In questo ambiente vivono anche altre specie in pericolo. Frequenti sono gli avvistamenti dell’aquila reale, e lo stesso può dirsi del falco pellegrino, del picchio nero, del corvo imperiale e del gufo reale, ma anche cinghiali e gatti selvatici, tassi, puzzole e una dozzina di lupi, per ricordare solo i più importanti animali che vivono nel bosco e in generale allo stato selvatico.
Sui monti color calce di origine carsica, che arrivano a 1900 metri, si trovano, oltre i 1000 metri, grandi boschi di faggi e abeti bianchi, ma anche betulle, querce, aceri e lungo i corsi d’acqua nelle valli, rare specie di felci, mentre presso Palinuro si possono trovare le rarissime primule di Palinuro e nella zona nordorientale orchidee selvagge.
Il particolare fascino della zona e al tempo stesso il motivo del conferimento dello status da parte dell’UNESCO sta tuttavia nella storia del Cilento come paesaggio culturale. Abitato fin dall’epoca preistorica, esso ha rappresentato fino al Medioevo un territorio “interattivo” di sviluppo politico e culturale. Sulle sue creste montuose, il tragitto più breve tra il Tirreno e lo Ionio, passavano importanti direttrici commerciali e di trasporto.
Il XVII e il XVIII secolo furono estremamente difficili per gli abitanti del Cilento. I briganti rappresentarono la risposta allo spietato sfruttamento dei contadini da parte dei baroni feudali. Questi “Robin Hood” del CIlento sono stati venerati come combattenti per la libertà e hanno lasciato tracce non solo nell’attuale camorra, ma anche nella mentalità di una popolazione che vive tuttora soprattutto di economia agricola e forestale, e che desidera condurre una vita indomita e indipentende, anche se priva di lussi. Il lusso di chi abita qui è il paesaggio in cui vive.
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