“La vedi quella grossa quercia, giù in fondo? Si chiama s’àvure manna. Questa valle qui la chiamano su addiju de su palone. Quella collina boscosa lassù la chiamano su montiju de su carrasu. Il monte che ci sovasta è Monte Santu. Quelle due rocce ai suoi pedi si chiamano sa rocca de sa thiantina e sa rocca de su nidu de s’untusu, la rocca del nido dell’avvoltoio. Mio padre mi appariva il creatore di quel mondo che per me creava con le parole”.
Per milioni di lettori, in Italia come nel resto del mondo, queste parole di Padre padrone, il celeberrimo libro autobiografico del pastore Gavino Ledda, sono state il primo incontro con le alture dei dintorni di Siligo, il paese natale dello scrittore. Con le loro cattedrali e i loro monumenti preistorici, con le loro fioriture e le loro querce da sughero, le bizzarre alture vulcaniche del Logudoro e della Valle dei Nuraghi, meritano una visita anche solo per i riferimenti letterari.
Inizia da Sassari, la più elegante e aristocratica delle città della Sardegna, l’itinerario di 147 km dedicato alle colline vulcaniche del nord-ovest dell’isola, spesso attraversate ma raramente guardate con attenzione da parte di molti visitatori. Qui, ai piedi dei rilievi vulcanici del Meilogu, il paesaggio dell’isola è particolarmente suggestivo e sempre vario.
Dopo uno sguardo a Sassari, la prima parte dell’itinerario è dedicata alla visita di alcune delle più belle chiese sarde, ad iniziare dalla Santissima Trinità di Saccargia.
Più avanti, tra Ittireddu, Torralba e Siligo, sono le antiche pietre dei nuraghe a prendere il sopravvento, e a condurre il viaggiatore verso i misteri della Sardegna antica. In questa zona meritano anche una visita i piccoli musei di Torralba e Ittireddu, dedicati all’archeologia e alle tradizioni locali. Numerosi sono i sentieri, alcuni segnati e altri no, che consentono di visitare in maniera diversa e più approfondita necropoli, santuari antichi e nuraghe.
Tra le mura poderose di Santu Antine e le eleganti tombe neolitiche di Mesu ‘e Montes, tra le spettacolari sepolture di Bonorva e le “tombe dei giganti” che compaiono tra i massi di basalto e le fèrule in fiore, l’isola mostra in questa zona uno dei suoi volti più suggestivi e più veri.
Seconda città della Sardegna e tradizionale antagonista economica e culturale di Cagliari, Sassari merita senz’altro una visita per via dei suoi monumenti e dei suoi musei. Di scarsa importanza nell’antichità, la città è rapidamente cresciuta nel Medioevo fino a diventare uno dei centri più ricchi ed importanti dell’isola. Intorno al 1250, le mura costruite dai Pisani non bastavano più a contenerla tutta. Nel 1294 la città divenne libero Comune, e da allora in poi ha mantenuto la sua indipendenza amministrativa, anche se sotto il controllo dei successivi padroni dell’isola.
Cuore dei movimenti per l’autonomia e l’indipendenza della Sardegna, Sassari è ancora oggi un centro culturale particolarmente vivace. Alla parte ottocentesca e borghese dell’abitato si affiancano i vicoli della città vecchia, tra l’Università e il Duomo. Qui le vecchie botteghe artigiane, le stradine selciate, i palazzetti settecenteschi offrono un itinerario piacevole, che rimane tale nonostante la sempre maggiore invadenza dei negozi moderni e delle insegne al neon.
Circondata dagli ampi viali costruiti nell’Otto e nel Novecento, Sassari conserva un interessante cuore antico. A separarlo dal centro moderno sono l’Emiciclo Garibaldi, la via Carlo Alberto e l’elegante Piazza d’Italia circondata da imponenti palazzi ottocenteschi.
Pochi minuti a piedi, da qui, permettono di inoltrarsi nella città vecchia, di passare sotto al Palazzo Ducale (oggi Municipio) costruito tra il 1775 e il 1805 e di raggiungere il Duomo, che stupisce il visitatore con la sua facciata barocca descritta da Elio Vittorini come “un gigantesco fiore di pietra“. Dedicata a San Nicola ma decorata dalle statue dei più noti santi locali, la chiesa ricorda nello stile imponente e fastoso le cattedrali del Salento.
Nella città antica, meritano una visita anche la chiesa cinquecentesca di Santa Caterina e quella, di cent’anni più tarda, di Sant’Apollinare. L’ampio corso Vittorio Emanuele, teatro prediletto delle passeggiate e dello shopping dei sassaresi, porta invece verso Piazza Castello, dalla quale si arriva in breve alla chiesa della Madonna del Rosario, costruita dai Domenicani nel 1682.
Completano la conoscenza di Sassari una visita all’interessante Museo Sanna, che conserva bronzi nuragici e mosaici romani, ma anche le opere di numerosi artisti sardi moderni, u una puntata alla Fontana del Rosello. Costruita da maestranze genovesi nel Seicento, la Fontana è il simbolo della città, ed è il monumento più amato dai sassaresi.
Appena fuori dalla città antica e a poca distanza dalla ferrovia, merita senz’altro una sosta l’elegante chiesa duecentesca di Santa Maria di Betlem, dominata da una bella cupola ottocentesca. Da qui parte il 14 agosto la Faradda de li Candereri, una processione che trasporta dei grandi ceri votivi attraverso l’intero centro cittadino.
Si esce da Sassari lungo la Carlo Felice, la statale 131 per Cagliari che conserva il nome del re di Casa Savoia che la fece sistemare nel 1822, e che ricalca la via romana che duemila anni fa univa i principali approdi dell’isola.
La strada scavalca un profondo vallone, corre ai piedi di caratteristiche erosioni rocciose, poi si affaccia su un paesaggio più aperto. Al primo svincolo si va a sinistra seguendo le indicazioni per Olbia. Quasi subito, sulla destra, compare l’aguzzo campanile di una delle più belle chiese della Sardegna.
E’ la Santissima Trinità di Saccargia, magnifico monumento in stile romanico-pisano che fu iniziato nel 1116 e completato intorno al 1200. Affacciata su un paesaggio di verdi e tranquille colline, la chiesa conserva un elegante esterno a strisce bianche e nere (sono strati alterni di basalto e calcare), un portico rifatto all’inizio del Novecento e capitelli e rilievi di grande suggestione. Austero e silenzioso, l’interno emoziona per l’altezza del tetto e i magnifici affreschi dell’abside, i soli dell’isola ad essere stati dipinti nel Duecento. Di attribuzione incerta, raffigurano scene di santi e dottori della Chiesa, la vita e la passione di Cristo e la Madonna in preghiera. Domina l’insieme un imponente Cristo attorniato da angeli.
Tornati alla statale 597, la si segue ancora verso est. Prima dello svincolo per Ploaghe e Tempio Pausania, ancora sulla destra della strada vi è la chiesa vallombrosana di San Michele di Salvènero, costruita tra il 1110 e il 1130 e rimaneggiata nel Trecento, ha forme analoghe a quelle della Santissima Trinità di Saccargia, ma è decisamente più semplice e povera di questa. La presenza di una centrale elettrica e di numerose linee dell’alta tensione toglie irrimediabilmente poesia al sito. A pochi metri dalla chiesa vi sono i pochi ruderi dell’antica abbazia.
Ripresa la strada per Olbia, la si segue tra magnifiche querce da sughero, fino alla breve deviazione verso sud che conduce alla tappa successiva del viaggio tra le chiese medievali del Logudoro. E’ Santa Maria del Regno, la severa basilica che sorge all’ingresso dell’abitato di Ardara. Costruita interamente nella scura pietra lavica dei vulcani del Meilogu, conserva un altare consacrato da papa Pasquale II nel 1107, un pulpito cinquecentesco e una bella pala d’altare gotica. Impreziosiscono la navata anche una predella del 1515 e una Madonna con Bambino di gusto spagnoleggiante.
L’ultimo incontro con l’arte degli architetti della Sardegna medievale avviene 10 chilometri oltre Ardara, dove una breve deviazione a sinistra porta dalla statale a Sant’Antioco di Bisarcio, imponente cattedrale costruita poco oltre il Mille e risistemata intorno al 1170. Arroccato su una rupe basaltica che domina la vallata, l’edificio offre un incontro emozionante e suggestivo. La facciata, caratteristica per la sua asimmetria, conserva un bel portico e numerose belle sculture a rilievo. I fianchi e l’abside conservano colonnine e sculture che alleggeriscono l’edificio. Domina l’insieme un imponente campanile in parte diroccato, nel quale nidificano decine di uccelli. Semplice e solenne, San’Antioco è perfettamente intonata al paesaggio circostante, fatto da solitarie colline popolate da contadini e pastori.
La tappa successiva è Ozieri, che si raggiunge attraverso Chilivani: in questo caso occorre tornare brevemente per Sassari, oppure direttamente lungo la statale 132. Nota soprattutto per i suoi dolci di mandorle (i suspiros), la cittadina è una delle più antiche della Sardegna, ha dato il nome ad una delle sue civiltà preistoriche più ricche e conserva una serie di monumenti interessanti.
Costruito sui fianchi di un ripido vallone aperto verso nord, il centro storico merita senz’altro una passeggiata. Il monumento più vistoso è senza dubbio la Cattedrale, ben riconoscibile per la sua imponente facciata, nella cui sagrestia sono conservate le sette tavole del retablo della Madonna di Loreto, dipinte intorno al 1525 da un anonimo artista sardo fortemente influenzato da Albrecht Durer.
Nel resto del centro, risistemato all’inizio dell’ottocento, meritano una sosta la elegante Fontana Grixoni, la chiesa gotica di Santa Lucia ed il convento di San Francesco, che ospita un piccolo ma interessantissimo Museo dedicato alla storia e all’archeologia locali.
Costruita su una collina calcarea, Ozieri ospita numerose grotte, alcune delle quali sono state utilizzate sin dalla preistoria. La più interessante è senz’altro quella di San Michele (o di Santa Caterina), sede dei più importanti ritrovamenti preistorici della zona. Nota per le sue ceramiche decorate, la “cultura di Ozieri” che ha preso il nome dai reperti della Grotta di San Michele, è la più importante dell’intera sardegna prenuragica. Per visitarla occorre seguire la strada per Pattada e raggiungere il vecchio campo sportivo oggi adibito a posteggio. La visita inizia dal fabbricato dov’è l’ufficio informazioni della Comunità Montana del Monte Acutu, e tocca tutti gli ambienti più interessanti della cavità. Nei pressi si aprono anche la Grotta Mara e la Grotta del Carmelo, tutte sede di importanti ritrovamenti antichi.
Chi vuol conoscere il volto più autentico di Ozieri deve cercare di visitarla nei giorni in cui è attivo il mercato del bestiame, che si svolge in una vasta area di prati ai piedi del paese moderno. Al centro dell’attenzione sono naturalmente le pecore e le mucche, ma anche gli eleganti cavalli da sella di razza anglo-arabo-sarda, che uniscono all’eleganza la sicurezza di piede e la frugalità.
Lasciata alle spalle Ozieri, si segue la statale 128 bis, che si dirige a ovest in direzione di Mores e della Carlo Felice. Dopo 11 chilometri, una breve deviazione sulla sinistra porta a Ittireddu, piccolo centro noto per sue grandi cave di lapillo e circondato da un territorio ricco di monumenti antichi. Una visita all’interessante museo comunale consente di informarsi sull’esatta ubicazione delle domus de janas di Partulesu, dell’imponente nuraghe Funtana, del nuraghe Sa Domu e s’Orku, delle arcate romane del Pont’Ezzu e delle cisterne di Sas Conzas, scavate nella tenera roccia calcarea e destinate probabilmente alla conservazione dell’olio. Tutti questi monumenti sono raggiungibili in auto (o con brevissimi tratti a piedi) seguendo le stradine campestri dei dintorni.
Una rete di sentieri segnati a cura dell’amministrazione comunale di Ittireddu, permette di compiere lunghe e belle escursioni a piedi nei dintorni del paese, arrivando nel modo più suggestivo ai numerosi monumenti antichi. Combinando il percorso verde e quello blu, si effettua un giro di 3-4 ore che tocca Sa Domu e s’Orku, Partulesi, il Pont’Ezzu e Sas Conzad. Dal Nuraghe Fontana, il sentiero segnato in azzurro sale al Monte Zuighe, dove sono due nuraghe e vari costruzioni scavate nella roccia.
Tornati alla strada statale, la si segue verso ovest in direzione di Mores, dove può meritare una sosta la chiesa seicentesca di Santa Caterina, al cui interno sono conservati alcuni interessanti dipinti. Cinque chilometri più avanti si raggiunge nuovamente la Carlo Felice.
Conviene incrociarla, raggiungere l’abitato di Bonnannaro, e proseguire per Borutta, accanto alla quale merita una visita la bella basilica di San Pietro di Sorres, un’altra delle ex-cattedrali disseminate tra le colline del Logudoro. Costruita a cavallo dei secoli XI e XII è uno dei monumenti romanici più suggestivi della Sardegna, e conserva un elegante esterno nel consueto stile bianco-nero. All’interno sono capitelli, statuee lignee e sarcofagi di notevole suggestione.
Vicino a Borutta in linea d’aria, Torralba, la meta successiva del percorso, può essere raggiunta in auto solo ripassando da Bonnànnaro. Porta della Valle dei Nuraghi, merita senz’altro una sosta per visitare la Parrocchiale seicentesca, e soprattutto il Museo della Valle dei Nuraghi, autentica miniera di informazioni sui numerosi monumenti antichi della zona.
Lasciata alle spalle Torralba, al termine di una netta discesa, compare all’improvviso l’imponente nuraghe Santu Antine, il più spettacolare della Valle dei Nuraghi. Costruito sull’altopiano di Cabu Abbas, deve il suo soprannome di Sa Domu ‘e Su Rei, “la casa del re”, all’aspetto che ricorda quello di una severa fortezza medievale. Proprio questo aspetto elaborato ha fatto sì che i primi archeologi attribuissero il nuraghe al periodo fenicio-punico. In realtà, come hanno dimostrato gli scavi più recenti, Santu Antine è stato costruito entro il secondo millennio avanti Cristo. Il nuraghe è stato scavato a partire dal 1935 e risistemato, con qualche ringhiera di troppo, nei primi anni Novanta. Oggi le ricerche (che sono tuttora in corso) si concentrano sull’abitato ai piedi della fortezza. I luoghi più emozionanti sono il cortile interno, la scalinata, la camera a cupola del primo piano. E naturalmente la sommità della torre, che offre uno splendido panorama sui dintorni.
Dal nuraghe Santu Antine, chi ha ancora del tempo a disposizione può proseguire verso sud attraverso la Valle dei Nuraghi. Prima di affacciarsi sull’Altopiano di Campeda, merita una deviazione Bonorva, paese moderno circondato da nuraghi e domus de janas, da cui si possono raggiungere in breve il pittoresco complesso dei Tres Nuraghes e (in 9 chilometri) la necropoli di Sant’Andria Priu, utilizzata dal 3000 al 1800 a.C., che conserva decine di belle sepolture e una roccia scolpita a forma di toro. Dal lato opposto della Carlo Felice si può raggiungere la chiesetta medievale di San Niccolò di Trullas, al centro di una verde vallata.
Lasciata la Valle dei Nuraghi, la scorrevole statale 131 riporta velocemente verso Sassari, attraversando la sella tra il Monte Santo e il Monte Pelào. Dal successivo svincolo è possibile deviare a sinistra in direzione di Siligo, il centro agricolo e pastorale reso celebre da Gavino Ledda in Padre Padrone.
Dal paese, una ripida strada sterrata, da fare preferibilmente a piedi, porta al santuario nuragico di Monte Sant’Antonio, che include un pozzo sacro, un’area lastricata e un nuraghe seminascosto dalla vegetazione.
Dal lato opposto della statale, una stradina asfaltata porta invece alla chiesetta di Santa Maria di Bùbalis (o di Mesumundu), una delle più antiche della Sardegna. Le mura, che alternano i conci di basalto ai mattoni, ricordano che si tratta di un edificio romano, trasformato in chiesa dai benedettini di un vicino monastero tra i secoli VIII e IX.
Poco oltre la chiesa, una sterrata che si stacca a destra dalla provinciale per Ardara e Mores conduce all’inizio del sentiero che sale al Monte Santo, altura vulcanica dove sorge, a 734 metri di quota, la chiesetta dei Santi Enoch e Elia, costruita nel 1065 dai benedettini di Santa Maria di Bùbalis. Non lunghissima ma decisamente ripida, la salita richiede circa un’ora. Il martedì dopo Pasqua, si affollano lungo i suoi tornanti centinaia di pellegrini provenienti da ogni parte del Logudoro.
Tornati per l’ennesima volta alla Carlo Felice, si continua ancora una volta verso nord in direzione di Sassari. Chi ha fretta può proseguire direttamente verso il capoluogo, che dista meno di 20 km di scorrevole superstrada. Le solitarie alture calcaree a occidente della statale, però, offrono l’incontro con un altro grande, e poco conosciuto, monumento della Sardegna antica.
E’ la necropoli di Mesu ‘e Montes, che sorge sulle alture affacciate sul Riu Mannu, ed è grosso modo equidistante da Florinas, Ittiri e Ossi. Per raggiungerla dalla Carlo Felice occorre attraversare Florinas, seguire brevemente la strada per Cargeghe e poi piegare a sinistra seguendo le indicazioni per Ittiri. La strada scende a traversare un vallone, poi raggiunge la chiesetta di Sant’Antonio e un bivio. Il viottolo giusto inizia 900 metri prima, passa accanto a una casa, e poi sale tra i vigneti in direzione delle splendide sepolture preistoriche scavate nel tenero calcare del Monte Mamas e del Monte Mannu.
Realizzate nel secondo millennio avanti Cristo, le tombe riproducono con sorprendente precisione delle abitazioni del tempo. Suggestiva è la sepoltura nota agli archeologi come Tomba II, decorata da corna, clessidre e motivi a zig zag.
Tornati ancora una volta all’auto, si raggiunge il bivio di Sant’Antonio, si va a destra, e si continua lungo la tortuosa strada per Ossi. Raggiunto il paese, conviene senz’altro fermarsi per visitare il villaggio nuragico di Sa Mandra e ‘sa Giua, scoperto negli anni ’80, al cui interno gli archeologi hanno identificato un forno per la produzione del pane.
Una ripida discesa riporta alla Carlo Felice, che si segue fino al centro di Sassari.
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