L’impero del vino piemontese

Dalle dolci colline delle Langhe e del Monferrato che legano il proprio nome a Barolo e Barbaresco (solo per citare i più noti), ai paesaggi ai piedi delle Alpi che competono ad armi pari con Gattinara ed Erbaluce di Caluso. Dalla terra di grande fama dei suoi vini all’area silenziosa che alle grandi tenute agricole con centinaia di ettari di vigneto “risponde” con piccole fattorie in prevalenza a gestione familiare.

IL MONFERRATO E LE LANGHE: RE BAROLO E MADAMA BARBERA 

La provincia di Asti, con quelle di Alessandria e Cuneo, annovera alcuni tra i vini più apprezzati e conosciuti a livello internazionale. A nord, nella zona del Basso Monferrato, si producono soprattutto Barbera e Grignolino. Il sud della provincia, rappresentato dalle Colline Astigiane, è una zona ad altissima vocazione vitivinicola in cui regnano incontrastati il Moscato d’Asti e l’Asti Spumante, fiori all’occhiello – insieme ai prestigiosi vini delle Langhe – di tutta la regione. La provincia di Alessandria divide con Asti la paternità della Barbera e del Grignolino.

A sud, invece, nella zona collinare dell’Alto Monferrato, incontriamo i maestosi e silenziosi vigneti di Cortese di Gavi, Dolcetto e Brachetto d’Acqui, quest’ultimo recentemente riconosciuto come Docg.

Nella parte orientale della provincia, ai confini con l’Oltrepò Pavese, si distendono le Colline Tortonesi che, per storia e cultura, appartengono più alla Lombardia che ad Alessandria. Anche dal punto di vista vinicolo qui si producono una Barbera e un Cortese che all’assaggio svelano affinità e parentele strettissime con i grandi vini pavesi.

Il Barbera d’Asti è il Barbera più classico, il più diffuso con quelle caratteristiche che fanno da riferimento per molti vini piemontesi. Nasce da un vasto territorio intorno ad Asti e, se invecchiato per un minimo di due anni e con una gradazione base di 12,5°, ha diritto alla qualifica di “Superiore”. Negli ultimi anni ha progredito molto sotto il profilo della qualità e dell’eleganza. Per lo più oggi i produttori lo presentano come un vino importante, capace anche di impressionare per struttura e carattere. Ha un colore rubino carico con un profumo di frutta matura, tipicamente “vinoso”. Il corpo è pieno, carnoso, dotato di un’elevata acidità. Ne esistono versioni briose, ma la tendenza è sempre più orientata verso il tipo fermo, logica conseguenza della continua crescita qualitativa del prodotto. Ha buona resistenza, non disdegnando di maturare da 4 a 6 anni e anche più. Negli accostamenti è da preferire con carne di maiale ma è ottimo anche su carni rosse arrosto o brasate.

In Località San Cassiano ad Alba, la cantina Prunotto produce Barbera d’Asti dal lontano 1904. Un nome, quello della famiglia Antinori,che garantisce continuità nella qualità. Di assoluto livello la Barbera d’Asti Costamiòle ’99, che ha meritato i prestigiosi “tre bicchieri 2002” del Gambero Rosso.

La zona meridionale della provincia cuneese, le Langhe, è uno dei distretti vinicoli più celebri al mondo, un “santuario” che ogni anno attira migliaia di appassionati. L’uva è il Nebbiolo, i figli si chiamano Barolo e Barbaresco. Due vini inimitabili per gusto e fascino evocativo. Il primo fu preso in cura personalmente da Cavour che, codificandone ex novo i processi di macerazione delle uve, lo trasformò da vino senza personalità e incapace di invecchiamento a vino nobile, in grado di invecchiare lungamente, dotato di salda struttura e buon tenor alcolico.

Il Barolo, considerato da molti come il re dei vini, è uno dei più prestigiosi (e cari) vini del mondo. E’ prodotto da uve Nebbiolo in purezza in undici comuni in provincia di Cuneo, nel cuore delle Langhe. Il disciplinare prevede rese basse, massimo 80 quintali per ettaro, ma normalmente i produttori stanno ancora al di sotto di questo limite per garantire quelle doti di eccellenza che sono prerogativa del Barolo. E’ un vino elegante ed austero, capace di grande invecchiamento. Di colore rosso rubino con unghia aranciata, ha profumo ampio, etereo, di viola, goudron, rosa appassita. Sapore aristocratico di grande carattere e nerbo, ricco di tannini. Si abbina a molti dei più importanti piatti della grande cucina; predilige la cacciagione e la selvaggina, il brasato al vino, la lepre in civet, i piatti tartufati. Ma anche da solo, come vino da meditazione, specie quando abbia raggiunto la piena maturità.

Un’azienda che si distingue per l’alta qualità dei prodotti, e in particolare per i Baroli, è l’azienda di Mauro Veglio e della moglie Daniela, che prevede anche la vendita diretta.

Le Langhe annoverano altri rossi robusti e affascinanti: Barbera, Dolcetto e Nebbiolo in primis, mentre il distretto del Roero, addossato sulla sponda sinistra del Tanaro, si distingue per la produzione dell’Arneis, un bianco che nel tempo è riuscito a guadagnarsi un buon mercato.

L’ARCO PREALPINO: GLI ALTRI FIGLI DEL NEBBIOLO

Da un punto di vista vitivinicolo, la provincia di Torino è compresa interamente nell’arco prealpino, che tocca anche le province di Novara, Biella, Vercelli e in parte Cuneo. La zona appartenente al comprensorio torinese, il Canavese, si distingue per la produzione di un pregiato e antico passito, l’Erbaluce di Caruso, declinato anche nella versione bianco e spumante.

E’ un vino dalle origini antiche, prodotto con passione e tecniche affinate nel corso dei secoli dai contadini del Canavese. Nato quasi per caso, quando l’uva era soprattutto un alimento per la povera gente di queste zone, con il passare del tempo ha acquisito fama e mercato. Il procedimento per ottenere questo nettare comincia durante la vendemmia, quando i grappoli migliori sono scelti per la fase di appassitura che durerà per tutto l’inverno all’interno di locali molto ben areati. Dopo aver ottenuto il nettare lo si fa invecchiare per 4 anni in botti. E’ dotato di almeno 13,5° alcolici. Ha colore giallo ambrato intenso; profumo delicato di castagna e di nocciola tostata; sapore nobile, dolce e vellutato. Invecchia a lungo, fino a 10 anni,e si serve, stappando la bottiglia al momento di mescerlo, come vino da meditazione e con la piccola pasticceria; può accompagnare con eleganza gustosi formaggi erborinati e saporiti fois gras. Esiste anche la versione liquorosa che è dotata di almeno 17,5° alcolici ed ha 5 anni d’invecchiamento obbligatorio.

Il Podere Marcellio, azienda secolare che affonda le radici addirittura nel ‘700, oltre ad un ottimo passito produce anche l’Erbaluce di Caluso classico e in versione spumante.

Impreziosiscono la produzione vinicola provinciale le recenti Doc della Valsusa, del Canavese e del Pinerolese, meritevoli di aver riportato “alla luce” antichi vitigni autoctoni che hanno seriamente rischiato l’estinzione, come l‘Avanà e il Becouet.

Salendo verso nord, ai confini con la provincia di Biella, il vitigno prevalente, coltivato a terrazze, torna ad essere il Nebbiolo. A Carema, piccolo comune ai confini con la Valle d’Aosta, il Nebbiolo regala l’omonimo vino, uno dei più apprezzati ed eleganti rossi piemontesi.

Il paesaggio della provincia di Biella anticipa fortemente i caratteri tipici valdostani: come in gran parte del Piemonte, il vitigno predominante è ancora il Nebbiolo, che in questa zona dà vita a vini come il Lessona e il Bramaterra, due rossi di grande carattere e struttura, prodotti in quantità così limitate da essere oggetto di appassionato collezionismo.

DUE PERLE ROSSE: GHEMME E GATTINARA

Racchiusa tra i fiumi Sesia e Ticino, Novara è la più lombarda delle province piemontesi. In posizione centrale si trova Ghemme, piccola cittadina alla sinistra del Sesia nel cui territorio si produce l’omonimo vino rosso Docg, altro fulgido esempio della versatilità dell’uva Nebbiolo, profumato questa volta da uve Bonarda o Vespolina, nascono gli altri tre grandi rossi novaresi: il Sizzano, il Fara e il Boca.

Per trovare il vino di Vercelli si deve andare in collina, a 260 metri d’altezza, dove le Prealpi appena si annunciano. Siamo a Gattinara, sulla sponda destra del Sesia. Qui il Nebbiolo regala un’altra primizia, la Docg che dal paese prende il nome, un rosso corposo, nobile, in grado di reggere con fierezza al tempo. Il Gattinara ha origine dal medesimo vitigno dei più noti Barolo e Barbaresco, che qui però alligna su terreni diversi e in un clima più fresco. Il risultato è un vino con minore grado alcolico e una più spiccata componente di acidi e tannini che gli conferiscono un carattere molto austero e una propensione al lungo invecchiamento. Ha almeno 12,5° alcolici. Presso il produttore deve affinarsi per almeno tre anni di cui uno in botti di rovere o castagno. Sapore asciutto, vigoroso e caldo, predilige cacciagione e selvaggina oppure carni rosse in salse brune.

I VINI OSSOLANI, UNA QUALITA’ “OSTINATA”

La vite nelle vallate del Verbano veniva coltivata già dell’epoca romana. Al Nebbiolo, chiamato localmente Prünent, si affiancavano i meno pregiati Clinto e Croatina. All’inizio del XIX secolo, per via della costruzione della carrozzabile del Sempione da parte di Napoleone, il vino locale fu “soffocato” dalla concorrenza della produzione novarese.

La filossera peggiorò sensibilmente la situazione nella seconda metà del secolo, tanto che il Prünent, esportato principalmente in Svizzera, non mise più il “naso” fuori dalle vallate, anche a causa dell’aumento del dazio di esportazione. Da qui l’inizio di una lunga fase di declino. Il turismo gastronomico delle zone montane ha riacceso l’interesse anche per il vino locale, tanto che la Comunità Montana Valle Ossola si è impegnata ad investire sul prodotto con buoni risultati. E così qualche bottiglia di Prünent, Pinot Nero e Ca’ d’Maté si è riproposta sul mercato.

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